martedì 24 marzo 2015

Il vicequestore rapinato in treno Colluttazione, sparo e un polso rotto

orse pensavano di farla franca, come purtroppo tante altre volte, e di scappare dopo aver semplicemente strappato dalle mani lo smartphone all’unico passeggero della carrozza.
Del resto i due banditi non sapevano che quell’uomo con baffi e pizzetto era un poliziotto in borghese che stava tornando in treno a casa a Bergamo terminato il lavoro. Per la precisione il passeggero era il vicequestore Angelo Lino Murtas, da due anni a capo del commissariato di polizia di Treviglio.Il quale non ha ovviamente esitato a inseguire il primo malvivente che l’ha rapinato, un ragazzo di colore di circa vent’anni che, in una frazione di secondo, gli ha strappato il suo Galaxy Note dalle mani, dirigendosi verso l’uscita del treno, appena arrivato alla stazione di Verdello-Levate.
Erano le 22,30 di giovedì sera e, in quel momento, il convoglio era praticamente deserto. Soltanto sull’ultima carrozza c’erano altri due passeggeri: due stranieri, che hanno soltanto visto il secondo malvivente darsela a gambe. Murtas aveva partecipato a una serata organizzata da Libera a Caravaggio e, alle 22,13, era salito sul treno diretto a Bergamo alla stazione Ovest di Treviglio.
Il commissario si è seduto sulla prima carrozza, completamente deserta. Durante il viaggio ha estratto di tasca il cellulare per inviare un messaggio: alla stazione di Verdello-Levate, dunque a metà viaggio, devono essere saliti i due extracomunitari che lo hanno poi rapinato. Il primo ha aperto la porta dello scompartimento e, con una rapida mossa, ha strappato di mano lo smartphone a Murtas.
Dopodiché si è diretto verso l’uscita del treno, ancora aperta. Ovviamente il commissario non è rimasto a guardare e, visto anche il suo lavoro, si è messo a inseguire il rapinatore: braccandolo proprio sulle scale della carrozza. Tra i due è nata una colluttazione: dalla scaletta del treno, i due sono caduti sulla banchina e Murtas ha rimediato la frattura dello scafoide della mano sinistra (soltanto alcuni mesi fa, per salvare una persona che voleva gettarsi dalla finestra a Treviglio, si era rotto l’altro polso). All’improvviso il poliziotto è stato preso alle spalle dal secondo malvivente, fino a quel momento nascosto (forse era salito in fondo al treno) e che lo ha afferrato per il collo, stringendogli la testa nel suo gomito. È stato a quel punto, in balìa dei due rapinatori, che Murtas ha estratto la Beretta calibro 9 d’ordinanza e, gridando «polizia!», ha esploso un colpo di pistola in aria.
Una reazione del tutto imprevista per i rapinatori, che hanno mollato la presa: il primo è scappato con il cellulare del poliziotto verso l’esterno della stazione, mentre il secondo, che nella colluttazione aveva strappato il giubbotto a Murtas, è risalito sul treno ed è sceso dall’ultimo vagone, passando davanti agli altri unici due passeggeri. Nella fuga si è liberato del giubbotto rubato, buttandolo su una carrozza, e del portafogli di Murtas, gettandolo sulla banchina (con ancora tutto il contenuto). Il vicequestore si è lanciato all’inseguimento del primo rapinatore, scappato in un vicino parco (lì è territorio comunale di Verdello e le riprese delle telecamere della zona sono state già acquisite dalla polizia).
Sul posto è arrivata poi la polizia, ma le ricerche dei due rapinatori hanno avuto esito negativo. Murtas è stato portato in ospedale a Treviglio, dove gli hanno riscontrato anche una lussazione del rachide cervicale: ne avrà per trenta giorni. Ma venerdì 20 marzo era già al lavoro, a sfogliare le foto segnaletiche per risalire all’identità dei due uomini che l’hanno rapinato.

FINALMENTE Pisapia non si ricandidera' - Speriamo Maviglia lo imiti PRESTO

Un’ora con i suoi collaboratori più stretti. Un’altra ora al telefono con tutti gli assessori della sua squadra per informarli di quello che sarebbe successo da lì a poco. Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, sceglie una domenica pomeriggio condita da una pioggerellina uggiosa per annunciare che non si ricandiderà alle elezioni comunali del 2016: «È venuto il momento di dire che non sarò candidato a diventare il tredicesimo sindaco di Milano». 

Il dado è tratto. Le voci sempre più insistenti del passo indietro, i partiti sull’orlo di una crisi di nervi, le fibrillazioni del mondo arancione. E lui, il sindaco, tetragono, che procedeva per la sua strada: «Lo dirò al momento opportuno». L’annuncio era previsto prima dell’apertura di Expo. Domenica, l’accelerazione con una convocazione urgente di una conferenza stampa. «Fin dalla campagna elettorale del 2011 ho sempre detto tre cose. La prima: che se avessi vinto avrei fatto un solo mandato». Parla di una scelta fatta per «coerenza» e non per «stanchezza». «Perché la politica non deve essere una professione ma un servizio». Ricorda che non è mai stato uno «attaccato alla poltrona» tanto che si dimise da presidente della commissione Giustizia. «E poi, nessuno è indispensabile». Per il futuro non vede ruoli politici nazionali o di altro genere e rispedisce al mittente l’accusa di essere un traditore: «È un tradimento fare cose diverse rispetto a quelle che si dicono. Io ho fatto quello che ho sempre detto alle persone con cui ho parlato». 

Assicura di non aver parlato della sua decisione con il presidente del Consiglio Matteo Renzi e di non aver ricevuto pressioni dai partiti. Soprattutto, quello di maggioranza, il Pd. Ma avverte anche che sarà il sindaco di tutti i milanesi fino all’ultima ora dell’ultimo giorno del suo mandato «con tutto l’amore e la stessa fermezza». Quindi, ogni decisione sul futuro candidato e sulle future alleanza del centrosinistra, dovrà per forza fare i conti con la sua persona e con quello che chiama il «progetto»: un’alleanza che tenga insieme la sinistra, a partire dal Sel, continuando con i movimenti civici. Non fa nomi: «Parlare ora di candidati è la cosa più sbagliata in assoluto». Ma i possibili papabili già ci sono e si stanno muovendo dietro le quinte. C’è il parlamentare Emanuele Fiano, c’è l’assessore al Welfare, Pierfrancesco Majorino, c’è Umberto Ambrosoli, c’è Ivan Scalfarotto. E altri si aggiungeranno in un futuro molto prossimo. La grande corsa a sindaco di Milano è appena iniziata.

venerdì 13 marzo 2015

«Renzi? Razzista con gli italiani. In Italia troppe zecche rosse» «Berlusconi? Non può fare il leader del centrodestra Muntari? Se ne torni a casa. Tosi me ne dice di tutti i colori? Me ne farò una ragione»

Salvini scatenato ospite della Zanzara, il segretario della Lega se la prende con tutti nessuno escluso, Berlusconi compreso. Già se l’ex premier è «una risorsa importantissima», guardare a lui come «leader del centrodestra sarebbe come tornare indietro».

«Renzi-Verdini? Inciucio»

Ma, tutto sommato, qui va ancora di fioretto: è con Renzi che affonda il colpo, via Verdini, il forzista ritenuto vicino all’ex sindaco « Verdini rappresenta l’inciucio con Renzi e il renzismo da anni e anni. Non mi permetto di commentare né di dare lezioni, ma Verdini rappresenta l’inciucio con Renzi e il renzismo. La Toscana è l’esempio più evidente di ciò. Noi non abbiamo voglia di giocare a perdere: la Lega ritiene che il governo Renzi-Alfano sia incapace, pericoloso e razzista nei confronti degli italiani - ha aggiunto -. La nostra sarà un’opposizione strenua e non violenta». E guarda oltre: «Demenziale il 31 maggio come data delle elezioni, in mezzo a un ponte. Se vinciamo in qualunque delle Regioni super-rosse, c’è qualcuno a Palazzo Chigi che il giorno dopo dovrebbe dimettersi e tornare al voto»: spiegando di «puntare di vincere in Liguria e Toscana» oltre che in Veneto.



«Troppe zecche rosse»

Quindi il raggio si allarga ai cosiddetti «no global»: «In Italia ci sono troppe zecche rosse. Due militanti della Lega aggrediti a Cagliari da una quindicina di zecche rosse, l’altro giorno io assediato a Genova. Sono quelli che si annidano tra i peli del cane e decidono chi è democratico e chi no. Tutti i centri sociali occupati illegalmente vanno sgomberati. Per Salvini «L’antifascismo è una roba da libri di storia, una cosa superata. Come l’anticomunismo. Poi se andiamo a vedere i comunisti hanno ammazzato più persone dei fascisti. Non tornerà né l’uno né l’altro - dice - è un dibattito vecchio. Se un movimento di sinistra condivide le nostre battaglie parlo anche con quello, come con Casapound». Ma non è imbarazzato quando il capo di Casapound dice di essere mussoliniano? «No, mi incuriosiscono come quelli che vogliono rifondare il comunismo. Alleati? Sono solo venuti a parlare, condividono alcune battaglie».

«Tosi mi dice di tutto? Me ne farò una ragione»

A proposito di persone vicine, il segretario ritorna su Tosi, di fatto «cacciato» dalla Lega qualche giorno fa: «Tosi? Eravamo amici, ora mi dice di tutto. Con lui ho finito le guance da porgere, me ne farò una ragione. La Lega non è un tram da cui sali e scendi, lui voleva prendere il posto di Zaia o condizionarlo. Ha scelto un’altra formazione politica, non porto rancore. Auguri». E smentisce un accordo tra i due: «Il patto? Non esisteva. Due anni fa si era detto: tu fai il segretario, io il leader di centrodestra. Il mondo cambia. Non siamo mica andati dal notaio, una cosa assolutamente informale»

«Balotelli? Gli invidio solo i soldi»

Salvini trova infine il tempo per parlare di calcio, del Milan in particolare, la squadra per cui tifa: «Inzaghi? Va cacciato, ero il suo primo tifoso e quando è arrivato in panchina ho stappato lo spumante. E’ vero, la squadra è penosa, imbarazzante. Ma anche lui non lo vedo tanto presente». Salvini è tornato poi sulla vicenda Muntari, invitato su Twitter a tornarsene a casa. «Mio figlio giocava meglio di lui l’altra sera. Coi milioni di euro che prende - ha proseguito- E’ uno che in campo lavora male. Gli immigrati inseriti e che lavorano bene sono benvenuti. Fosse per me tornerei subito a tre stranieri, quando c’erano Gullit, Van Basten e Rijkaard». Infine una battuta su Mario Balotelli, che ha preso le difese dell’ex compagno di squadra attaccando Salvini attraverso i social. «Un genio, faccia le primarie poi vediamo se fa politica meglio di me. Non è un modello di vita, è un maleducato, gli invidio solo i soldi», ha concluso il leader della Lega Nord.

«L’assassino di Terni? Marcisca in Marocco»

Attivissimo su Facebook, Salvini ha poi commentato l’omicidio di Terni, dove un irregolare marocchino ha ucciso un ragazzo di 27 anni con una bottiglia di vetro: «Morire a 27 anni, sgozzato per strada a Terni, innocente. Pazzesco. L’assassino è un marocchino, ubriaco e drogato, già espulso. Era ri-sbarcato a Lampedusa, aveva chiesto asilo politico. Ora è in galera. Un altro morto sulla coscienza degli amici di Mare Nostrum. Una preghiera per il povero David e per la sua famiglia. E per l’assassino, niente galera in Italia, troppo comodo. Espulsione immediata a calci in culo nel suo Marocco, dove potrà davvero marcire in una galera adatta a un verme come lui».

mercoledì 11 marzo 2015

La Magagna della Settimana


Gli atti di Vandalismo continuano 'Grazie' Sindaco per la sua attenzione ......

Tangenziale, il traguardo si allontana. Incombe il macigno del sottopassaggio

Tangenziale, il traguardo si allontana. Incombe il macigno del sottopassaggio



È emergenza furti e sicurezza a Cassano: «Cominciamo con più controlli»

venerdì 6 marzo 2015

Salvini: «Renzi? Non lo sopporto, mi sta antipatico»

Matteo contro Matteo. Salvini critica Renzi senza mezzi termine nel salotto de "Le Invasioni Barbariche" su La7. "Renzi non lo sopporto proprio - ha detto il leader della Lega Nord, rispondendo a Daria Bignardi - mi sta antipatico per quello che dice e che fa, è un chiacchierone, sta promettendo mari e monti da un anno e non sta combinando un accidente".

lunedì 2 marzo 2015

Roma, Lega in piazza «Vaffa» di Salvini a Renzi e Fornero «Il premier servo sciocco di Bruxelles».


È stato il giorno della Lega a Roma. Il movimento fondato da Umberto Bossi e oggi guidato da Matteo Salvini, abbandonate le parole d’ordine dell’indipendenza della Padania oggi punta a caratterizzarsi sempre di più come partito nazionale e a incoronare lo stesso Salvini come leader del centrodestra. Alla manifestazione in piazza del Popolo erano presenti anche Casapound, che ha confermato la scelta di Salvini come leader su cui puntare, e la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meoni. Salvini dal palco ha pronunciato un discorso ricco dei temi cari ai leghisti, come il no ai campi rom, con qualche tratto caro ai grillini, tipo gli insulti lanciati a più riprese verso i politici chiamati anche “infami”.


Non si sono registrati incidenti: i leghisti non sono venuti a contatto con l’ala antagonista che ha organizzato una contromanifestazione in contemporanea e l’imponente schieramento di forze dell’ordine ha funzionato.


«Renzi servo sciocco di Bruxelles»

Salvini ha esordito parlando di Renzi come del «servo sciocco di Bruxelles». Subito dalla piazza si è levato un «vaffa...» diretto al premier di cui sono state chieste le dimissioni. «Cancelleremo la legge Fornero e vaffa... alla Fornero e a chi l’ha portata al governo», ha continuato Salvini parlando alla folla. In serata è giunta poi la reazione dell’ex ministro, Elsa Fornero, che ha detto: «Il merito della riforma sulle pensioni parla da solo. Penso e spero che gli italiani siano in grado di capire il basso livello della politica alla Salvini».

Le citazioni e i punti di riferimento

Salvini nel suo intervento non ha lesinato citazioni: le foibe, il genocidio degli Armeni, il disastro del Vajont, l’Oriana Fallaci di «Un uomo», don Milani ma anche don Sturzo, elencando una serie di libri da considerare esemplari e che a suo parere dovrebbero essere adottati nelle scuole, «dove si sa tutto dei fenici ma non della nostra storia recente».

«Non c’è spazio per i campi rom»

«Nella nostra Italia non c’è spazio per i campi rom», ha proseguito il leader della Lega affermando: «Vai a fare il rom da qualche altra parte. I rom vengono dopo i nostri disoccupati , molto dopo...». Salvini ha proseguito toccando vari temi e chiamando in causa due personaggi che la Lega considera «eroi»: il benzinaio Graziano Stacchio, che nelle settimane scorse ha ucciso un uomo nel tentativo di sventare una rapina nel Vicentino; e l’imprenditore bergamasco Antonio Monella, condannato a 6 anni per avere sparato al ladro che cercava di rubargli l’auto nel cortile di casa. «Non esiste eccesso di legittima difesa - ha detto - : se vieni a casa mia in piedi è possibile che ne esci steso». Salvini ha concluso ringraziando Umberto Bossi, Gianfranco Miglio e Roberto Maroni e chiamando “ladro” lo Stato. Sulle alleanze non si è pronunciato: «Decideremo cosa fare più avanti, ma non metto insieme gente a casaccio». La piazza durante il comizio ha intonato: «Chi non salta è comunista».

L’arrivo del segretario in piazza

«Vogliamo andare a governare. L’Italia merita di più». Arrivato in piazza del Popolo poco prima delle 15 il segretario della Lega ha detto: «Ambisco a parlare a tutti, anche ai delusi di Renzi e agli ex grillini». Matteo Salvini si è presentato in camicia bianca su cui poi ha indossato la maglietta aIo sto con Stacchio. Con chi difende il territorio». «Non temo disordini - ha aggiunto - . Roma è una città civile, una città stupenda, colorata, arrabbiata ma pacifica». E infatti incidenti non ce ne sono stati. Ha poi subito parlato di Renzi, a cui l’iniziativa è stata in qualche modo dedicata (#Renziacasa, l’hashtag): «Sta svendendo all’Europa gli ultimi pezzi di aziende sane italiane. Le svende all’Europa e alle multinazionali. Noi stiamo con le piccole e medie imprese».

Regaliamo agli immigrati la pensione sociale E loro se ne vanno per vivere come nababbi

Gli sprechi del buonismo: gran parte degli stranieri che incassa l'assegno sociale poi rientra nel Paese d'origine

Si godono la vecchiaia a casa loro, campando alle spese dello Stato italiano. Gli stranieri che ottengono l'assegno sociale e poi tornano nel proprio Paese sono sempre di più.
Anche perché è facile: basta una semplice autocertificazione. E anche se l'Inps scopre che qualcuno è scappato in patria, può farci poco o nulla.
Molto spesso gli immigrati conoscono la legge (e i suoi benefici) meglio degli italiani.
Sanno come aggirare le regole e come piegarle ai propri interessi. Accade anche con l'assegno sociale, una prestazione economica che viene concessa ai cittadini, italiani e stranieri, che si trovano in condizioni economiche particolarmente gravi. Il reddito annuo di chi lo richiede non deve superare 5.800 euro. Ottenerlo, soprattutto per gli stranieri, è abbastanza facile. Basta avere residenza stabile e abituale da dieci anni in un Comune italiano, essere titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo, non superare la soglia di reddito richiesta e, ovviamente, avere compiuto 65 anni. Solo in Lombardia, come ci assicura una fonte dell'Inps, sono circa 5mila gli stranieri che hanno richiesto questo tipo di assegno. Gran parte di questi, però, una volta intascato il malloppo, è tornata nel proprio Paese d'origine, dove ha potuto condurre - anzi, conduce tuttora - una vita da nababbo alle nostre spalle.
Quando un italiano fa richiesta per poter ottenere l'assegno sociale, invece, scattano tutti i controlli di routine. Vengono setacciati i dati dell'Agenzia delle entrate, della Camera di commercio e dell'Inps e si verifica che chi ha richiesto l'assegno sia in regola. Con gli stranieri questi controlli sono tecnicamente impossibili perché non sempre all'estero - soprattutto nei paesi dell'Est Europa e del Nord Africa - esistono banche dati. La valutazione dei limiti di reddito di chi ne fa richiesta si basa quindi su una semplice (e incontestabile) autocertificazione. E quando l'Inps chiama gli stranieri a rapporto, ecco che arrivano le scuse più disparate: «Ho perso il passaporto», «non riesco più a tornare in Italia», «un mio parente è malato gravemente». Ma se c'è qualcuno che proprio non riesce a trovare i documenti per rientrare c'è anche, come ci racconta una fonte, chi ha più passaporti (italiano, straniero, rinnovato) e presenta all'Inps quello che conviene maggiormente, ovvero quello che non certifica l'espatrio. Se paragoniamo, poi, l'assegno sociale alle cosiddette «pensioni minime» si nota che chi usufruisce dell'assegno sociale - ovvero chi non ha lavorato o non è riuscito a versare contributi adeguati - prende all'incirca quanto chi ha lavorato tutta una vita e che, magari, percepisce la pensione minima: 448,52 euro contro 501. Poco più di 50 euro di differenza. A 70 anni scatta però la maggiorazione sociale e, così, la forbice si riduce ulteriormente. Per il 2013, per esempio, la differenza è stata di soli 13 euro.
Ma c'è un'altra beffa per i lavoratori italiani: la legge Fornero stabilisce che un uomo vada in pensione a 66 anni e 3 mesi. Ben un anno in più rispetto a quanto richiesto per l'assegno sociale. Significa che uno straniero che magari non abita nemmeno in Italia possa godere della pensione prima di un nostro connazionale.
Come tamponare questo enorme flusso di denaro? Si potrebbe usare la tessera sanitaria regionale, che ha sostituito il vecchio codice fiscale e che viene impiegata anche come carta nazionale dei servizi, da «strisciare» alla frontiera un po' come si fa quando si timbra il cartellino al lavoro. In questo modo si potrebbe attivare un sistema di allerta nei data base dell'Inps che, in automatico, bloccherebbero la prestazione assistenziale. Un'alternativa potrebbe essere introdurre l'obbligo del ritiro in contanti del denaro (solo per gli stranieri, sia chiaro) abolendo la possibilità di accrediti sui conti correnti bancari o postali, così da certificare mensilmente, con firma al ritiro, la dimora effettiva e abituale nello Stato italiano. Infine, una terza ipotesi: stilare un vademecum di controlli per gli uffici, in modo da sottrarre l'iniziativa al libero arbitrio dei funzionari e facilitare l'accesso alle (poche) banche dati esistenti. Intanto, però, il saccheggio continua.