venerdì 31 luglio 2015

Telgate, il sindaco leghista dà ai cittadini in crisi i soldi destinati agli immigrati

"Tutte le persone che arrivano da me in Comune mi dicono che non arrivano a fine mese, giovani che non trovano occupazione e pensionati cui non basta la pensione"

Per questo Fabrizio Sala, sindaco di Telgate (Bergamo) ha dato vita ad una iniziativa che lui chiama di "equità" tra profughi e cittadini italiani. "Questa è discriminazione verso gli italiani - dice il sindaco a ilgiornale.it - Noi vogliamo invece la parità di trattamento".



Come noto, infatti, per i richiedenti asilo che sono ospitati nei centri di accoglienza, l'Italia sborsa ogni giorno 37 euro. "Tutti i miei concittadini mi dicono: 'Noi viviamo una fase di disagio e lo Stato investe 37 euro per i profughi? Perché non pensa a noi?'". I soldi spesi per l'immigrazione sono tanti, tantissimi, considerando che a fine mese significano più di 900 euro a profugo: ben più di tante delle pensioni degli anziani italiani. Così il Sindaco di Telgate ha deciso di farsi carico dei bisogni dei cittadini e ha inviato una lettera ai tutti gli abitanti di Telgate. Allegata alla missiva un modulo da compilare per coloro i quali, trovandosi in difficoltà economica, volessero far richiesta al governo di concedergli gli stessi 37 euro che l'Italia versa ai profughi.

"L'iniziativa ha riscosso un successo incredibile - dice fiero il sindaco - Non solo sono tantissimi i cittadini che hanno presentato il modulo per richiedere i 37 euro, ma anche amministratori del Sud e primi cittadini di centrosinistra mi hanno chiamato per chiedere i dettagli della questione". Insomma, anche a sinistra si fa accoglienza a parole e poi quando le difficoltà degli italiani entrano in Municipio la musica cambia. "Io sono contrario a Mare Nostrum, Frontex e simili, perché creano una guerra tra poveri: il dovere dei sindaci poi è fare il bene dei propri concittadini. Tutti hanno lo stesso problema e si chiedono come sia possibile spedente soldi per chi arriva dall'altra parte del mondo e non si possa fare lo stesso per i cittadini italiani". Non solo, ci tiene a precisare il sindaco, perché anche gli stranieri regolari nel suo comune possono presentare lo stesso modulo in comune.

Sia chiaro, il sindaco Sala farà solo da mediatore con il governo. Le casse comunali "cui ogni hanno vengono tagliate risorse incredibili" non hanno certo i fondi per sostenere l'elargizione di circa 900 euro a famiglia. Queste richieste verranno presentate al governo Renzi, che invece - se vorrà - dovrà trovare i fondi necessari. Anche perché non si chiedono soldi contanti, ma un semplice aiuto potrebbe essere in diverse forme, dagli sgravi fiscali ad aiuti per pagare affitti e utenze.

Telgate non ha profughi nel suo territorio. Il sindaco si è rifiutato di ospitarli "perché devo prima pensare agli italiani". E la sua iniziativa ha portato alla luce quello che in molti ormai in Italia pensano: il governo preferisce i profughi ai poveri italiani. Mariantonia Piras, una commerciante che soffre - come tutti - le ristrettezze della crisi è totalmente d'accordo con il suo primo cittadino: "Io farò anche un'altra proposta: chiederò i 37 euro anche per i commercianti per uso personale". Perché la crisi ancora è dura e con gli incassi del giorno si riescono a malapena le spese. I soldi invece dovrebbero girare, ma in questo modo gli unici ad intascarseli sono le cooperative che ospitano i profughi.

Gli italiani, invece, arrivano sempre dopo.

giovedì 30 luglio 2015

I profughi protestano perché vogliono stare in hotel - Fedriga: "A calci nel sedere"

“È inaccettabile quanto avvenuto a Udine. Clandestini, perché sono e rimangono clandestini, che protestano perché vogliono essere alloggiati in hotel, perché vogliono almeno 10 lamette a testa per farsi la barba, perché il cibo non è di loro gradimento...".

A scrivere è Massimiliano Fedriga, capogruppo della Lega Nord alla Camera che, con un post su Facebook ha deciso di commentare così la notizia, apparsa sul Gazzettino Veneto, delle proteste dei profughi contro le modalità d’accoglienza della Croce Rossa.

Stando alla ricostruzione di Fedriga, però, non è affatto vero che siano stati trattati male o che non sia stato previsto per loro un corso di italiano ma anzi “gli operatori della Croce Rossa confermano che è stato fatto ma solo 5 su 17 vi hanno partecipato e gli altri 12 invece giocavano a carte". "Non solo: hanno anche gettato i vestiti ricevuti, come confermano sempre gli operatori della Croce Rossa. Queste persone - prosegue Fedriga - sono state in hotel a Lignano e poi a Forni Avoltri. Adesso non accettano di essere trasferiti in una struttura che non sia un albergo o un camping. È inaccettabile”.
La colpa è del “governo Renzi e la Regione a guida Serracchiani, che permettono questo stanno umiliando i nostri cittadini, soprattutto quelli che vivono la crisi sulla loro pelle. Stanno mortificando – attacca l’esponente leghista - quelle madri e quei padri che non riescono a garantire il cibo per i loro figli viste le difficoltà economiche che sta vivendo il nostro Paese. Stanno offendendo quelle persone che non hanno un tetto sotto il quale far vivere la propria famiglia”. Non usa vie di mezzo contro gli ingrati: “I sedicenti migranti che protestano se ne vadano a calci nel sedere. Dovrebbero essere riconoscenti e ringraziare senza dire null'altro, invece si permettono di inscenare sit-in e manifestazioni. Adesso basta! Ridiamo dignità ai nostri cittadini, utilizziamo le risorse per garantire una risposta alla loro necessità. Basta accoglienza buonista – conclude Fedriga - che sta rendendo i nostri territori invivibili e insicuri. Prima la nostra gente”.

mercoledì 29 luglio 2015

STOP al CANONE RAI


LEGA SALVA GRAN PREMIO D’ITALIA di MONZA, OK EMENDAMENTO PER DEFISCALIZZAZIONE AUTODROMO

“La Lega Nord salva - per l’ennesima volta - il Gran Premio d’Italia, l’autodromo di Monza e Villa Reale. Al Senato abbiamo strappato l’ok al nostro emendamento al dl Enti locali per la defiscalizzazione dell’Autodromo. Ora Regione Lombardia potrà sbloccare i fondi già stanziati, ma da tempo immobilizzati dal Governo”. Lo comunicano la senatrice Silvana Comaroli e il deputato leghista monzese Paolo Grimoldi, commissario della Lega Lombarda, che nei mesi scorsi aveva denunciato i rischi di uno “scippo” del maxievento motoristico da parte di altri Paesi.


“Dopo le troppe promesse mancate di un Governo sordo alle nostre richieste - rimbalzate tra legge di Stabilità, Milleproroghe, decreto Imu, fino al decreto Banche - la Lega porta a casa il risultato e ‘blinda’ a Monza il Gran Premio, una vittoria del territorio e di tutto il Paese”. 

“Abbiamo evitato il trasferimento in Qatar - o altrove - del Gran Premio d’Italia, che rimarrà a Monza grazie ai fondi che Regione Lombardia - e solo Regione Lombardia - ha stanziato per l’evento e per l’ammodernamento dell’autodromo, la tutela del parco e la Villa Reale. Al governo non abbiamo chiesto un euro: solo il sacrosanto diritto a investire senza impedimenti burocratici e politici da Roma. La nostra cocciutaggine ha pagato. E ora ci prepariamo al Grande Evento sul quale sventola la bandiera leghista”. “La Lega è stata l’unica a credere in questa battaglia, portandola avanti senza mai arrendersi e nonostante i bastoni tra le ruote messi fino ad oggi dal governo Renzi”.

venerdì 17 luglio 2015

Lombardia avanti




Clandestini sale la tensione




«Roma, Treviso, Livorno, Bergamo, Piacenza: prefetti, invece di rompere le palle ai sindaci e ai cittadini (italiani e immigrati regolari) che protestano, fate il loro lavoro e smettete di coccolare migliaia di clandestini. Accoglieteli in prefettura o a casa vostra, se proprio li volete. Vabbè che dipendete da Alfano ma vergognatevi!»: ha commentato su Facebook il segretario federale della Lega Nord Matteo Salvini.

martedì 7 luglio 2015

Parla Fatima, jihadista italiana che viveva ad INZAGO e bazzicava a CASSANO: «Decapitiamo in nome di Allah»


Maria Giulia Sergio via Skype si scaglia con ferocia contro i miscredenti. «Uccidiamo perché lo ordina la sharia». E poi chiede notizie dei genitori arrestati.

«Noi quando decapitiamo qualcuno, dico noi perché anche io faccio parte dello Stato islamico, quando facciamo un’azione del genere, stiamo obbedendo allasharia». La voce di Maria Giulia Sergio è gelida quando inizia a parlare su Skype. La follia si respira in ogni sua sillaba.


Per giorni il suo account è rimasto muto. E alla fine la jihadista italiana, ricercata per associazione con finalità di terrorismo, ha risposto. La linea è disturbata. La connessione non è abbastanza buona da potersi mostrare in volto ma la sua voce è riconoscibile chiaramente. È la stessa delle intercettazioni della Digos di Milano che l’ha tallonata per mesi. E la stessa di quella ragazza di 28 anni, originaria di Torre del Greco, che è partita per la Siria nel settembre del 2014 insieme al marito albanese Aldo Kobuzi.


All’inizio della conversazione Maria Giulia alias Fatima Az Zahara chiede notizie. La sua famiglia è stata interamente arrestata. Vuole sapere se stanno tutti bene. Per mesi Maria Giulia ha cercato di convincerli ad abbandonare la villetta color ocra di Inzago per intraprendere la hijra (la migrazione) nello Stato islamico. Ha perfino spiegato alla madre Assunta, al padre Sergio e alla sorella Marianna che tipo di valigia acquistare per il viaggio. Ha incoraggiato suo padre, un cassaintegrato di 60 anni, a riscuotere i soldi della liquidazione e ad abbandonare tutto per trasferirsi in Siria. Ma prima che potessero partire sono finiti tutti in cella. Per lei questa operazione di antiterrorismo che ha portato all’arresto di dieci persone «è un buco nell’acqua perché non serve a niente. È illogico ed è irragionevole che la polizia italiana decida di arrestare queste persone», afferma. Per mesi la Digos l’ha intercettata. Ma lei ha continuato a parlare con la famiglia, anche quando sapeva che la sua storia era finita sui giornali. «I messaggi che mi scambiavo con i miei genitori e mia sorella non erano di incitamento al jihad o qualcosa del genere. Noi parlavamo di come i miei genitori avrebbero potuto fare una buona vita, qui nello Stato islamico», si giustifica.




Maria Giulia nel 2014 ha sposato un combattente dell’Isis. È diventata la moglie di un jihadista proprio per partire e unirsi alla guerra santa. Era una studentessa di Biotecnologie della Statale di Milano che amava truccarsi. Oggi si è trasformata in una terrorista. Giustifica le violenze, le decapitazioni. Ed è disposta a vivere sotto il comando di uomini che stuprano, schiavizzano e decapitano le donne con l’accusa di stregoneria, esattamente come succedeva nel Medioevo. Solo che il Medioevo è qui, ora. E parla in chat, su Skype: «Questi che vengono decapitati sono ladri, sono ipocriti, agiscono come spie nello Stato islamico. E riportano le informazioni ai miscredenti per poi attaccarci», grida nel microfono. E ancora: «Qui non schiavizziamo le donne ma le onoriamo. Basta usare sempre i soliti argomenti». A nulla vale chiederle conto delle torture, delle brigate femminili e dei bambini usati come soldati. E non serve nemmeno domandarle come giudica gli orrori che ormai da un anno tutti i giorni i suoi leader diffondono in Rete per reclutare e terrorizzare.






«Lo Stato islamico, sappi, è uno Stato perfetto. Qui non facciamo nulla che vada contro i diritti umani. Cosa che invece fanno coloro che non seguono la legge di Allah». L’indottrinamento è talmente profondo da portarla a cercare di reclutare anche chi la sta intervistando. «Tu conosci le storie di Guantanamo o delle altre prigioni nascoste. Lo Stato islamico non tortura nessun prigioniero, okay? Ma agisce secondo la sharia. Secondo la legge di Allah misericordioso». Va dritta per la sua strada di follia, non importa che Islam significhi pace. Se non è la prigione di Guantanamo sono i bombardamenti della coalizione gli argomenti con cui giustificare se stessa e il marito. Scandisce le parole, fa sfoggio di qualche parola d’arabo. A tratti si fa sarcastica.


«Tu sai che tutto il mondo ci attacca? Lo sai vero questo? Ti faccio solo un esempio: due giorni fa è arrivato qui, un aereo “autocomandato” (un drone, ndr) carico di esplosivo per distruggere non so quante….». La connessione si interrompe a tratti. «Qua ci sono le donne e i bambini». Non vuole confermare che «qua» sia il Nord della Siria, che i jihadisti hanno conquistato e tentano di controllare dopo aver terrorizzato la popolazione e aver ridotto in schiavitù le minoranze. Per Fatima conta solo che lo Stato islamico prosperi, le vittime sono danni collaterali. Prima che cada la linea tenta ancora di lanciare un ultimo proclama. «Allah comanda che al ladro venga tagliata la mano. Perché questo sia un esempio per tutti. Così nessuno più si permetterà di venire qua a rubare». Poi, basta, la connessione salta. E Maria Giulia torna Fatima, un volto nascosto da un velo nero.

lunedì 6 luglio 2015

Fatima, l’italiana convertita: la jihad A CASSANO !!! il Corriere!

Cari concittadini vi invitiamo a leggere la didascalia della fotografia di questo articolo pubblicato sul Corriere della sera.

Quando in campagna elettorale parlavamo di mosche in piazza, abbiamo solo anticipato quello che sta accadendo in questi giorni e che solo i “signori” della Sinistra fanno finta di non vedere e che anche oggi cercano di negare in ogni modo.

A CASA SUBITO !!!



http://bergamo.corriere.it/notizie/opinioni/15_luglio_06/fatima-l-italiana-convertita-jihad-via-internet-97e965a6-23c7-11e5-a98d-32629d3b799b.shtml


Fatima, l’italiana convertita: la jihad via Internet
La sposa di Treviglio si era preparata alla Siria con «lezioni» online

di Davide Ferrario


Chi, per età, ha vissuto l’altro momento della storia dell’Italia moderna in cui la nazione si è trovata a combattere una minaccia terroristica, resta disorientato davanti alla vicenda di Maria Giulia Sergio, la giovane di Inzago maritatasi a Treviglio con un albanese e con lui emigrata a combattere in Siria per la Jihad. I giornali sono pieni dei tre ritratti che ne scandiscono i tempi della conversione: dapprima il suo volto «normale», simile a quello di tante ventenni lombarde; poi con il velo rincalzato sul capo a nascondere i capelli secondo i dettami islamici; infine, solo due occhi sprofondati in un burqa a sancire la definitiva devozione alla causa.

Fatima con la mamma nel 2014 a Cassano D’Adda

Colpisce soprattutto il modo in cui la ragazza, secondo gli investigatori, si è radicalizzata: via internet, dapprima con un interesse generico ai siti islamici e poi con un rapporto diretto (via Skype) con quella che - negli anni settanta - si sarebbe definita una “cattiva maestra”. Faccio riferimento a quel periodo proprio perché ventenne lo fui allora e ben ricordo come io e moltissimi altri siamo andati vicini a simpatizzare per la lotta armata contro lo Stato. Innanzitutto, per convinzioni personali e motivazioni storiche: ma non è questa la sede per parlarne. Ma soprattutto, in uno dei maggiori movimenti di contestazione occidentali, perché era facile percepire dovunque che aderire al progetto di rivoluzione, o quantomeno di rivolta, ti faceva entrare in qualcosa di più grande - fisicamente, materialmente percepibile con gli amici, a scuola, nelle strade e nelle piazze. Era la relazione con gli altri che ti spingeva emotivamente in una direzione che poi qualcuno prese per infilarsi in un viale senza ritorno.


Niente di simile accade con i jihadisti di casa nostra. In perfetta sintonia con lo spirito dei tempi, diventi guerrigliero via internet e solo in un secondo tempo trovando una comunità di riferimento. E, non a caso, il «verbo» della ribellione assume i contorni della rivelazione divina, agli antipodi di quello che fu un movimento laico e materialista, basato sulla ragione. Tutto questo rende molto difficile prevenire storie come quella di Maria Giulia (o Fatima, come si fa chiamare adesso). Sono storie che si formano nel silenzio del web, di una relazione con il virtuale che non scende mai nella dialettica del confronto di piazza, per esempio. D’altra parte, questo stesso isolamento concorre alla marginalizzazione di casi simili. Non è ipotizzabile un’adesione di massa paragonabile a quella di 40 anni fa. Ma resta una consolazione che non cancella l’inquietudine.

mercoledì 1 luglio 2015

Dieci gli arrestati e tra loro anche il padre, la madre e la sorella di Fatima, al secolo Maria Giulia Sergio, la giovane di Inzago (Milano) che è in Siria tra le fila dell'Isis.

MIlano, 1 luglio 2015 -  Foreign Fighters pronti a partire per la Siria e combattere sotto le nere bandiere del Califfato. Dieci gli arrestati e tra loro anche il padre, la madre e la sorella di Fatima, al secolo Maria Giulia Sergio, la giovane di Inzago (Milano)  che è in Siria tra le fila dell'Isis.  L
a Digos di Milano ha eseguito 10 ordinanze di custodia cautelare in carcere e perquisizioni nelle province di Milano, Bergamo, Grosseto e in una cittadina dell'Albania. Nel mirino degli inquirenti dieci persone appartenenti a due gruppi famigliari  (4 italiani, 5 albanesi e un canadese). Per la polizia erano pronte a partire per combattere in Siria con i miliziani dell'Isis. Secondo quanto riferito dalla questura meneghina, le indagini condotte dalla sezione antiterrorismo della Digos di Milano hanno permesso di accertare che gli indagati fanno parte di due nuclei familiari, di cui uno formato da cittadini italiani convertiti da qualche anno all`Islam e determinati a partire per la Siria, l`altro composto da cittadini di nazionalità albanese residenti nella provincia grossetana. Il collante tra le due famiglie è rappresentato da una giovane coppia che si unisce in matrimonio lo scorso settembre, per poi partire alla volta della Siria. L'operazione è stata denominata "Martese" e arresti e perquisizioni sono stati compiuti nelle provincie di Milano, Bergamo, Grosseto e in una cittadina dell`Albania. 
Miliziani dell'Isis
LA FAMIGLIA DI FATIMA  - Nel blitz antiterrorismo condotto dalla Digos e coordinato dal procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli, e dal pm Paola Pirotta, sono stati arrestati il padre, la madre e la sorella di Maria Giulia Sergio, la giovane italiana partita tempo fa per andare a combattere in Siria e di cui si era già parlato nei mesi scorsi. La famiglia della ragazza vive ad Inzago, nel Milanese. Tra gli arrestati c'è anche lo zio e il marito albanese della giovane. Al padre e alla madre di Maria Giulia Sergio è stato contestato l'articolo 270 quater del codice penale che punisce chi organizza la partenza di combattenti con finalità terroristiche, come previsto dal decreto legge antiterrorismo approvato in via definitiva lo scorso aprile. 
Operazione Martese
Tra le accuse contestate agli altri arrestati c'è l'articolo 270/bis, ossia il reato di terrorismo internazionale introdotto dopo l'11 settembre 2001. Sergio, il marito e la madre di quest'ultimo sono tutti e tre in Siria a combattere per la Jihad. Le attività tecniche degli investigatori, spiega una nota della Polizia, hanno consentito di ricostruire il percorso seguito dalla giovane coppia per il raggiungimento della Siria. In particolare attraverso l'intercettazione dell'utenza, in uso ad un coordinatore dell'organizzazione dei foreign fighters dello Stato Islamico, è stato possibile ricostruire l'attività di smistamento degli stranieri che da varie parti del mondo partono per raggiungere il Califfato.
IN MANETTE - Gli ordini di arresto riguardano anche albanesi residenti in provincia di Grosseto, in particolare parenti di Maria Giulia Sergio: Arta Kacabuni, 41 anni, zia del marito della convertita all'Islam, la suocera dell'italiana e lo zio dell'uomo, Baki Coku, 37, in questi giorni in Albania ma abitante ad Arcille di Campagnatico (Grosseto). Arta Kacabuni è stata arrestata a Scansano, la suocera di Sergio si troverebbe invece in Siria.
IL PM - "Negli atti si parla di coordinatore dei Foreign Fighters dello Stato Islamico, siamo riusciti a ricostruire nel modo preciso come il cosiddetto stato islamico è attrezzato per ricevere i combattenti stranieri". Lo ha spiegato il Pm di Milano Maurizio Romanelli. "Il marito di lei - ha aggiunto - è a tutti gli effetti diventato un mujahedin. I genitori di lei erano pronti a partire, per loro si è applicata per la prima volta la norma su organizzazione viaggi con finalità di terrorismo".  
Operazione Martese
INTERCETTAZIONI - L'inchiesta sull'Isis si è sviluppata anche grazie all'individuazione "del coordinatore dei foreign fighters" per conto dello Stato Islamico. "Abbiamo individuato - ha spiegato il Pm Maurizio Romanelli - un'utenza turca. E si è aperto uno scenario enorme che ha fornito uno spaccato sulle regole per arrivare li': accorgimenti materiali, come ad esempio l'indicazione di non usare telefoni di ultima generazione ma solo telefoni di vecchio tipo; il procurarsi schede locali e buttare la scheda vecchia; avere una valigia senza eccessivo bagaglio". Nelle intercettazioni il presunto coordinatore viene indicato come "colui che vi farà entrare in Siria". "Questa persona - ha sostenuto ancora Romanelli - è una persona importante nello stato islamico e rivendica il ruolo di interlocutore con vari paesi Europei. Gestisce il profilo organizzativo e la persona che ha questo telefono, e quelli vicino a lui, sono in grado di smistare tutti e dirigerli verso lo Stato islamico, a ciascuno viene data una collocazione. Queste persone erano in grado di dare risposte a tutti. Il reclutator eè una persona di un certo livello e in alcuni casi parla con persone del suo livello".
NO ATTENTATI IN ITALIA - "Non sono emersi elementi che possano far pensare a progetti di attentati in Italia - ha spiegato Maurizio Romanelli -È la prima volta che in Italia, e probabilmente in Europa, si arriva a un risultato del genere nei confronti dello Stato Islamico - ha continuato Romanelli - È una risposta giudiziaria importante"
LA GENTE DI INZAGO -  "Sono una famiglia perbene, li conoscevamo da una vita, secondo me sono stati plagiati". È quanto affermano alcuni concittadini amici del papà e della mamma di Maria Giulia Sergio. A raccontare con discrezione di loro sono alcuni conoscenti in un bar del paese in cui vive la famiglia di lei, a Inzago, una ventina di chilometri fuori Milano, tra le campagne. "Si sono fatti trascinare - dice una signora che conosce bene il padre di Maria Giulia - tanto che anche lui si era avvicinato alla religione islamica e si era fatto crescere una folta barba. Mi ricordo quando gli urlavo 'Sergio, cosa fai con quella barba lì?' e lui sorrideva da uomo tranquillo quale era". 
LA CONVERSIONE DI FATIMA -  Maria Giulia Sergio, la giovane di 27 anni convertita all'Islam con il nome di Fatima Az Zahra su Facebook, qualche anno fa, si augurava in nome di  "Allah" la "vittoria sui miscredenti". Sul suo profilo personale del social network, infatti, la giovane, originaria di Torre del Greco (Napoli) e che ha vissuto a Inzago e poi in Toscana prima di partire per la Siria per combattere a fianco dell'Isis, aveva inserito tutta una serie di fotografie ritraenti donne che indossano il niqab, il velo integrale. Uno degli ultimi post della 27enne, che si è convertita all'Islam assieme a tutta la sua famiglia  risale al novembre 2013. Nel dicembre del 2010, invece, scriveva: "Allahumma rinsalda le nostre gambe e dacci la vittoria sui miscredenti". Fatima, dopo aver sposato prima un marocchino e poi un albanese e dopo aver frequentato anche la moschea di Treviglio (Bergamo), sarebbe partita da Roma con un aereo diretto ad Istanbul. Dalla capitale turca, poi, dopo aver attraversato il confine, avrebbe raggiunto la Siria per unirsi ai fondamentalisti del sedicente Stato Islamico. In un altro post la giovane aveva scritto: "In verità Allah ha detto 'Vincero' Io e i miei servi credentì». Fatima sul suo profilo, inoltre, aveva messo anche una foto che ritrae una donna interamente coperta dal velo con la scritta "l'obbligo di coprirsi la faccia e le mani". E, infine, il 5 agosto del 2011, in vista del matrimonio, scriveva: "Care sorelle c'è qualcuna di voi che ha delle foto di spose con niqab? Devo prendere spunto su come fare il mio niqab da sposa".

Inzago: Blitz anti terrorismo, Maria Giulia Sergio al centro dell’inchiesta

Fatima, così si chiama la ragazza italiana dopo la conversione all’islam. È il perno intorno al quale si è mossa l’inchiesta della Digos di Milano


Ruota intorno alla storia di una ragazza italiana convertita all’islam e partita nel 2014 per unirsi al Califfato in Siria l’inchiesta della Digos di Milano che ha portato questa notte al l’esecuzione di 10 ordinanze d’arresto. Maria Giulia Sergio, 28 anni, originaria di Torre del Greco, convertita all’islam nel 2009 (prese il nome di Fatima) dopo il matrimonio con un giovane marocchino, è al centro del gruppo di 10 persone (4 italiane, 5 di nazionalità albanese ed 1 di nazionalità canadese), accusate a vario titolo di associazione con finalità di terrorismo e di organizzazione del viaggio per finalità di terrorismo.



La ragazza, con tutta la famiglia, si è trasferita nel 2012 in provincia di Milano, a Inzago, dove ha in seguito contratto un secondo matrimonio, stavolta con un cittadino albanese, col quale ha iniziato a frequentare ambienti radicali, in particolare dopo lo spostamento a Grosseto dove viveva la famiglia del secondo marito. Tra 2012 e 2013 i gruppi radicali albanesi in Toscana hanno ospitato due grossi personaggi Imam-reclutatori, tra i quali Bilal Bosnic, albanese, già ritenuto ispiratore e facilitatore del viaggio di Ismar Mesimovic, l’imbianchino di Longarone morto combattendo in Siria per l’Isis. 

La nuova operazione della polizia milanese riguarda le famiglie di Maria Giulia e del marito: “Le indagini condotte dalla Sezione Antiterrorismo della Digos di Milano hanno permesso di accertare che gli indagati fanno parte di due nuclei familiari, di cui uno formato da cittadini italiani convertiti da qualche anno all’Islam e determinati a partire per la Siria, l’altro composto da cittadini di nazionalità albanese residenti nella provincia grossetana. Il collante tra le due famiglie è rappresentato da una giovane coppia che si unisce in matrimonio nel mese di settembre scorso, per poi partire alla volta della Siria”.