venerdì 27 novembre 2015

Fiaccolata della Lega Nord con Salvini davanti alla villetta di Lucino

Rodano (Milano), 26 novembre 2015 - In serata alcune decine di militanti della Lega Nord hanno preso parte a una fiaccolata in segno di solidarietà di fronte alla casa di Rodano del commerciante Rodolfo Corazzo, che ha sparato ad un rapinatore uccidendolo (FOTO DELLA  FIACCOLATA) Presente anche il segretario Matteo Salvini che, megafono in mano di fronte al cancello della villetta, ha sostenuto che "la legittima difesa è sempre legittima" e in questo caso dareiuna medaglia a chi ha difeso la sua famiglia e ha liberato la società da un pregiudicato come quello". 


"NON SONO UN EROE NE' UN KILLER" - Oggi Corazzo, ospite de "La vita in diretta" ha parlato della drammatica notte di martedì: "Sono stato costretto a sparare per salvare la mia famiglia,non sono né un eroe né un killer."Per ora sono tranquillo, può darsi che col tempo cambi, ora non penso a quello, penso a mia moglie e a mia figlia che sono più traumatizzate di me". Il commerciante ha sottolineato: "In quella situazione lo rifarei sicuramente, sono vivo esclusivamente perchè avevo la pistola, erano determinati a farmi del male".
Rodolfo Corazzo ha inoltre spiegato: "Non pensavo di averlo colpito al cuore. Di sicuro, però, ho una buona mira grazie ad anni di poligono - ha detto- Ora vado raramente a sparare ma in passato ho frequentato parecchio il poligono. Le mie pistole sono tutte registrate. Mi hanno sequestrato tutte le armi per le indagini ma non ho paura. Credo che idue complici in fuga abbiamo altri problemi a cui pensare. Non temo per la mia vita, anche se ora sono disarmato. I banditi devono pensare a scappare ed è possibile che vengano catturati a breve. Non credo che io sia il loro prossimo obiettivo". Ha aggiunto: "Spero solo che prendano gli altri due e finisca questo incubo. Con questi due in giro non sono tranquillo, anche se è difficile che tornino. I carabinieri hanno una pattuglia davanti a casa. Spero non succeda niente". Il commerciante oggi ha anche espresso una sua convinzione: "La mia ipotesi è che uno dei banditi fosse un basista italiano. Durante il colpo non ha mai parlato e dava indicazioni a gesti - ha detto- Credo che addirittura sia originario della zona. È l'unico che non ha parlato, dava indicazioni a gesti. Potrebbe aver fornito lui le indicazioni per arrivare a me". 
LE INDAGINI - L'ipotesi di reato che nelle prossime ore i pm Alberto Nobili e Grazia Colacicco dovrebbero contestare a Rodolfo Corazzo, dovrebbe essere quella di eccesso colposo di legittima difesa. Si tratterebbe di un atto dovuto, per consentire all'uomo di nominare un suo consulente in vista dell'autopsia e di qualsiasi altro accertamento tecnico irripetibile. Corazzo ha assicurato ai magistrati di essere stato costretto a sparare "per difendere la mia famiglia" e il suo racconto è ritenuto coerente dagli 

giovedì 26 novembre 2015

Fatima Salvi, l'albergatrice di profughi convertita all'Islam: "Minigonna invita allo stupro"

Fatima Salvi, al secolo Silvia Salvi, albergatrice di Cosio Valtellino (Sondrio), impegnata con il padre, Giulio, nella gestione di un hotel che da mesi ospita 71 profughi, ha deciso di buttare al gabinetto anni di battaglie per le libertà sociali e dei costumi femminili. "La donna italiana non dico si voglia fare violentare", ha affermato l'albergatrice, intervistata dal Tg4, in un servizio di approfondimento sugli italiani che si convertono alla religione mussulmana, "ma esce con minigonne e tacchi a spillo per far vedere cosa? Per essere sensuale? Sinceramente sembra quasi un invito".

Vedi il VIDEO

https://www.facebook.com/salviniofficial/videos/10153388053683155/


"Minigonna attira stupro" - In poche parole per la signora Silvia, che ha conosciuto l'amore proprio in albergo, il marito infatti è un ospite dell'hotel proveniente dal Pakistan, una minigonna sarebbe un lasciapassare per lo stupro. Molto meglio il velo, invece, di cui sembra essere una fervente suffraggetta.
La suffraggetta del velo - Manco a dirlo durante l'intervista lo indossa. "Non sono costretta a metterlo", precisa Fatima, "né mi ha costretta mio marito e sono una donna come lo ero prima". Di più, il velo, il culto islamico, per la signora Salvi - "albergatrice che guadagna soldi a palate con gli immigrati", ha detto di lei il leader della Lega, Matteo Salvini - hanno addirittura poteri estrogenici: "Mi sento quasi più donna ora che prima delle conversione", ha affermato la locandiera.
 


"Devi essere stuprata da musulmani" - Nella giornata che celebra la lotta alla violenza contro sulle donne c'è un'altra islamica ad essersi distinta per scarsa lungimiranza. Si chiama Bahar Mustafa, ha 28 anni e si occupa di Pari opportunità tra le minoranze etniche nel sindacato studentesco dell'università Goldsmiths a Londra. In passato Mustafa si era già distinta per affermazioni poco felici ed era stata portata in tribunale per messaggi di matrice razzista, suo l' hastag #killallwhitemen (uccidete tutti gli uomini bianchi). Martedì la responsabile delle diversità di Goldsmiths se l'è presa con la commentatrice radiofonica e avversario di lunga data dell'islam radicale, Pamela Geller. La signorina Mustafa ha inviato alla Geller una mail infarcita di insulti: "Meriti di essere violentata in ogni buco da orde di musulmani, schiaffeggiata e soffocata, mentre ti sputano in bocca e ti pisciano in faccia". La Geller si è detta ormai abituata a ricevere minacce del genere, "certo che", ha precisato, "ricevere questo messaggio da una che una donna che dovrebbe rappresentare le diversità è stato scioccante".

mercoledì 25 novembre 2015

Gioielliere uccide ladro in casa Salvini: ha fatto bene, se l’è cercata

Il segretario federale della Lega Matteo Salvini commenta su Facebook l’epilogo della rapina a Lucino di Rodano. Il commerciante di gioielli «si è difeso».Gioielliere uccide ladro in casa Salvini: ha fatto bene, se l’è cercata Il segretario federale della Lega Matteo Salvini commenta su Facebook l’epilogo della rapina a Lucino di Rodano. Il commerciante di gioielli «si è difeso».



Il corpo della vittima sotto un telo (Fornasari)


«Un commerciante, aggredito da tre rapinatori al suo rientro a casa, ha sparato e ucciso uno dei ladri, e messo in fuga gli altri due. Si è difeso, ha fatto bene! Spiace per il ladro morto, ma se l’è andata a cercare». Lo scrive su Facebook il segretario federale della Lega Matteo Salvini, commentando l’epilogo della rapina nella villa di un gioielliere ieri nel milanese.


Maroni: se sarà imputato, patrocinio gratuito della Regione
«Condivido. È andato a cercarsela. E mi pare che questa posizione sia condivisa anche dalla Procura». Ha risposto così il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni ai cronisti che gli chiedevano se condividesse la posizione di Matteo Salvini circa il fatto avvenuto a Rodano. «La Procura stessa - ha aggiunto Maroni - ipotizza la legittima difesa, non l’eccesso colposo e quindi ribadisco che, se per caso dovesse essere imputato per eccesso colposo in legittima difesa, noi abbiamo approvato una norma che consente il patrocinio gratuito della Regione. Mi pare che almeno in questo caso non ci sia questa imputazione e quindi è una buona notizia».

Ammazzato - ALBANESE LADRO ed ASSASSINO



Sorrideva sprezzante nelle foto segnaletiche e preferiva risolvere i conti in sospeso direttamente con la violenza. Duro, spietato e sanguinario, Valentin Frrokaj, albanese di 37 anni, è il bandito ucciso ieri sera poco prima delle 21 dal commerciante di gioielli Rodolfo Corazzo, 59 anni, nella sua villa a due piani in via Matteotti a Lucino, frazione di Rodano, quattromila abitanti in provincia di Milano. Assassino ergastolano, Frrokaj era considerato dagli investigatori uno dei più esperti esponenti della criminalità albanese che, soprattutto in Lombardia, sta “recuperando” molto terreno, con le giovani leve che sgomitano sul territorio per avere spazio e rispetto. Nel 2007 il bandito aveva assassinato un connazionale a Brescia. Per due volte l’avevano catturato e per due volte era riuscito a evadere dal carcere compresa la fuga, spettacolare e cinematografica, dal carcere Pagliarelli di Palermo nel maggio 2014.

Commenti: Sorriso sprezzante !!.. ed ora ...Rid, Ridi....

Sparatoria a Rodano, il ladro ucciso era un pericoloso ricercato albanese

Sparatoria in casa di un commerciante. "Minacciavano mia figlia". Caccia in mezzo Nord Italia ai due complici

Rodano (Milano), 25 novembre 2015 - Pericoloso e ricercato:  Valentin Frrokaj, albanese di 37 anni,è il bandito rimasto ucciso, ieri sera a Rodano (Milano), durante un conflitto a fuoco con un commerciante che aveva sequestrato in casa insieme a due complici. L'uomo era già noto alle forze dell'ordine e alle cronache per alcuni rocamboleschi fatti di criminalità.
Intanto è caccia in mezzo Nord Italia ai due complici.  I carabinieri del Comando provinciale di Milano, che indagano sul caso, hanno esteso la ricerca in tutte le possibili direzioni di fuga, coordinati dal pm di Milano Grazia Colacicco, anche se al momento non è detto che i due siano già lontani. Secondo quanto riferito dall'imprenditore,Rodolfo Colazzo, i tre assalitori parlavano italiano ma avrebbero avuto un accento straniero, forse dell'Est Europa. 

Non lontano dalla villetta in via Matteotti è stata anche trovata una Golf che risulterebbe rubata risultata rubata a Dello (Brescia) il 9 ottobre.
Valentin Frrokaj il rapinatore ucciso, e un 37enne pluripregiudicato albanese  Frrokaj era ricercato dopo essere evaso il 7 maggio 2014 dal carcere "Pagliarelli" di Palermo dove stava scontando una condanna all'ergastolo per l'omicidio di un connazionale commesso il 23 luglio 2007 a Brescia. Il 37enne era già evaso il 2 febbraio 2013 dal carcere di Parma (insieme con un altro detenuto albanese) ma era stato catturato il 14 agosto dell'anno successivo dai carabinieri di Cassano d`Adda (Milano).
La villa è stata sottoposta a sequestro per permettere l'analisi approfondita della scena del delitto e questa mattina è previsto un ulteriore sopralluogo da parte degli investigatori e della Scientifica dell'Arma.
Ma cosa è successo ieri sera nella villetta in via Matteotti Lucino di Rodano, tranquillo paesino nella Martesana milanese? Secondo una prima ricostruzione i tre rapinatori hanno atteso Rodolfo Colazzo,al cancello, sapevano che sarebbe rientrato in motorino alle nove dopo il lavoro Si sono infilati oltre il cancello automatico aperto dal gioielliere e l’hanno aggredito  Rodolfo Corazzo è un commerciate di preziosi con la passione per le arm. L'uomo  è un collezionista  ma anche  un buon tiratore. 


I rapinatori gli hanno fatto disinserire il sofisticato sistema di videosorveglianza , poi l’hanno picchiato. Non avrebbero invece toccato la moglie e la figlia, costrette però ad assistere al pestaggio. Corazzo ha tenta una mediazione: "Vi do quello che volete, ma non fate del male alla mia famiglia", avrebbe detto nella versione dei fatti riferita" al pm da Piero Porciani, l’avvocato della famiglia.  La situazione è precipitata, i banditi hanno aperto il fuoco e il commerciante ha risposto. Girava armato, addosso aveva una pistola, prima di mirare ha esploso un colpo in aria "ma loro non smettevano". Quindi ha centrato uno dei malviventi, i complici, spiazzati, sono fuggiti. 

«Non volevo assolutamente uccidere», ha spiegato Corazzo, accompagnato in ospedale per essere medicato (VIDEO). Ha il volto tumefatto per i pugni e calci inflittigli senza pietà. Il reparto scientifico dei carabinieri ha fatto rilievi fino all’una.  
Rodano



È passato solo un mese dall’altro tragico omicidio che ha per protagonista un altro padre di famiglia. Francesco Sicignano, il pensionato di Vaprio d’Adda, che ha sparato e ucciso il ladroentrato in casa sua per derubarlo e ora accusato di omicidio volontario.
Emergono già però differenze tra i due casi. Stavolta gli aggressori erano armati e ben organizzati. Sembra che avessero studiato a fondo il colpo, imparando a memoria le abitudini del gioielliere. Che ha reagito sotto la minaccia delle botte e delle armi. "Non avrei mai voluto trovarmi in una situazione del genere", ha mormorato allontanandosi prima di essere accompagnato al pronto soccorso.

Commenti: Grazie a tutti i buonisiti che vogliono ancora piu immigrati...

lunedì 23 novembre 2015

Morto Oneto, il «progettista» della Padania - ONORE e CONDOGLIANZE

È morto ieri Gilberto Oneto, l'intellettuale che più di tutti dopo la morte di Gianfranco Miglio ha interpretato le aspirazioni del mondo culturale autonomista settentrionale. Nato nel 1946, sul piano professionale Oneto si mise in luce come esperto del rapporto tra urbanistica e territorio. La vera passione della sua vita fu però la riflessione storica sulle ragioni dell'indipendenza. In particolare, si batté per convincere ogni interlocutore della necessità di lasciarsi alle spalle l'unità italiana e dare vita a un Nord affrancato da Roma. In un certo senso, ancor più che Umberto Bossi fu proprio Oneto a delineare il progetto ideale della Padania: di quell'area che include il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia, il Veneto e le altre terre che si collocano attorno al fiume Po. Lo stesso simbolo dei padanisti, il Sole delle Alpi, è stato riscoperto da Oneto quale elemento presente in tutto questo vasto territorio.La sua produzione intellettuale è stata ampia, ma forse di un'opera in modo particolare egli è stato particolarmente orgoglioso: la rivista Quaderni padani. Attorno a tale pubblicazione per anni egli ha riunito voci molto diverse per matrice politica e sensibilità culturale, ma tutte accomunate dal desiderio di superare l'assetto unitario e fare rinascere nuove e più piccole patrie. Da giovane Oneto era stato vicino agli ambienti di destra e ancora pochi giorni fa, sul Manifesto, qualcuno ha ricordato la sua collaborazione con La voce della fogna di Marco Tarchi. Presto il suo spirito ribelle l'aveva però allontanato da quel mondo, rendendolo insofferente anche a ogni celebrazione del presunto primato della politica. Come numerosi suoi scritti testimoniano, detestava le logiche del nazionalismo e credeva semmai che modeste dimensioni territoriali e un limitato numero di cittadini favorissero la civiltà. Un suo volume, pubblicato dalle edizioni Leonardo Facco, s'intitola appunto Piccolo è libero e insiste proprio sul nesso tra le libertà individuali e l'autogoverno locale. La stessa Padania che egli avrebbe voluto veder sorgere era una libera federazione di realtà indipendenti e se egli evocava di continuo la «questione settentrionale» era soprattutto perché pensava che le comunità del Nord dovessero collaborare nella loro lotta contro lo status quo post-risorgimentale.Oneto nutriva un sincero affetto per le terre padane, ma questo non gli impediva di apprezzare realtà molto diverse. Ha sempre creduto nel diritto della sua gente alla libertà, ma al contempo era persuaso che quell'indipendenza nulla avrebbe tolto ad altri popoli. Ha solo sognato un mondo più composito e colorato di quello definito dagli Stati nazionali e non è un caso se il suo ultimo libro è stato proprio dedicato all'inutile strage della Grande Guerra: quella che un tempo era detta la Quarta guerra d'indipendenza e che, in sostanza, portò solo lutti e dolore alle diverse popolazioni della Penisola.

Salvini a Brescia - Grimoldi Eletto - "Liberi di decidere fino all'indipendenza!"

Al PalaBanco di Brescia è il giorno del congresso della Lega Lombarda, con cui i delegati sarà eletto il nuovo segretario lombardo (Paolo Grimoldi, deputato, attuale commissario e candidato unico).  Presenti tutti i principali dirigenti della Lega, a partire dal segretario federale Matteo Salvini. Ingente la presenza delle forze dell'ordine attorno alla sede. Lo slogan, che campeggia in rosso sullo sfondo del palco richiama l'obiettivo storico del Carroccio: "Liberi di decidere fino all'indipendenza!". Aprendo i lavori, il deputato Guido Guidesi, ha ricordato un "amico che non c'e' piu'",Gilberto Oneto, che si è spento ieri dopo una lunga malattia. Oneto, è stato giornalista, amico e collaboratore del professore Gianfranco Miglio. A lui Il deputato del Carroccio ha chiesto di dedicare la giornata di lavoro di oggi. 

SALVINI -  Dal palco di Brescia Salvini è tornato a parlare dell'allarme terrorismo. "Io sono stufo delle fiaccolate e dei minuti di silenzio, che vadano a farle in Siria le fiaccolate". Matteo Salvini, si è detto convinto che ora contro il terrorismo occorre "reagire con le maniere forti e non con il dialogo". Al congresso della Lega Lombarda ha chiesto all'Ue di "chiudere le frontiere, non di controllarle". Prima di chiudere il suo intervento il segretario della Lega ha criticato il messaggio inviato ieri dal premier Matteo Renzi via Whattsapp contro un allarme-bufala sul terrorismo. "Se sei conseguente, dimettiti - ha affermato Salvini parlando del capo del governo -, perché la prima bufala sei tu". 
MARONI - Dal palco di Brescia il presidente della Regione Roberto Maroni ha rilanciato il referendum per una maggiore autonomia alla Lombardia. "Dobbiamo farlo e vincerlo", ha detto nel suo intervento, ricordando di aver chiesto al governo di svolgerlo con le amministrative della prossimo anno. "Ovviamente ci ha detto di no, vogliono boicottarlo - ha poi aggiunto - ma continuerò a chiederlo e se non ci consentiranno di farlo al primo turno delle elezioni di primavera, propongo di farlo il 24 aprile: giorno prima della Liberazione, cosi' ci liberiamo anche noi". Il governatore ha poi chiesto alla platea leghista di partire gia' da gennaio con la mobilitazione. "Ogni Comune deve avere un comitato per promuoverlo - ha detto - è una battaglia che non possiamo perdere".
BOSSI - "Se i terroristi arrivano sui barconi, non saprei, può darsi ma non lo posso sapere. Più grave è che e ci sia stata l'immigrazione e non c'è il lavoro". ha detto il presidente nazionale della Lega Lombarda Umberto Bossi, intervenendo al congresso nazionale in corso a Brescia. Secondo Bossi la mancanza di lavoro, porta alla disgregazione della società e quindi non c'è integrazione. E senza questa, c'è lo scollamento della società. "Non è un caso infatti - secondo il senatur - se molti foreign fighters sono partiti proprio dalla Lombardia" dove probabilmente erano venuti in cerca di un'occupazione. "La sinistra - conclude Bossi - questo lo ha sempre negato perche' voleva i voti". 

Cassano, un chilo di droga addosso al pusher

Cassano D'Adda (Milano), 21 novembre 2015 - In manette lo spacciatore della cintura in azione fra Cassano, Pozzuolo e Treviglio, nella Bergamasca. Fissati alla vita il 33enne di origini marocchine aveva due panetti di hashish, un altro era agganciato al polpaccio e altri due alle cosce,per un totale di un chilo.

La perquisizione, stamattina, è scattata dopo giorni di controlli e pedinamenti. Le pattuglie del Nucleo radiomobile dei carabinieri hanno fermato il pusher mentre si accingeva a un'importante consegna. Ora è in cella.
Commento: Ancora grazie ai carabinieri, ma cassano sempre piu Bronx e sempre piu invaso da "allegri migranti", grazie Sindaco

venerdì 20 novembre 2015

CASSANO D’ADDA Simulavano rapine per dividersi i «bottini» dei camion


Tre persone in carcere per simulazione di reato e furto aggravato. Un uomo di origine albanese aveva riferito di essere stato fermato e aggredito da due sconosciuti armati di pistola.


Di sicuro non è un attore nato. Ma è anche vero che il 33enne albanese che lo scorso due novembre ha raccontato di essere stato vittima di una rapina mentre guidava un camion pieno di materiale elettronico, è incappato nell’intuito dei carabinieri della compagnia di Cassano d’Adda, che non sono cascati nella scarsa prova di recitazione offerta dall’uomo, raggiunto ora da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, lui e due complici italiani di 41 e 61 anni pregiudicati per ricettazione, con accuse di furto aggravato in concorso e simulazione di reato.


Gli accertamenti
Lo straniero aveva riferito di essere stato fermato ed aggredito da due sconosciuti armati di pistola e col volto coperto che lo avevano costretto a consegnare il rimorchio su cui stava trasportando computer e materiale elettronico per 800 mila euro di valore. La «vittima» aveva concluso il suo confuso racconto riferendo di essere stato bloccato a Pioltello, a bordo della sua motrice, e condotto a Novegro, dove i «malfattori» lo avevano abbandonato dopo averlo immobilizzato. Tutto falso. Il rimorchio era stato trovato nella stessa giornata dalla Polstrada, lungo la tangenziale. I successivi accertamenti dei carabinieri del Nucleo investigativo, hanno permesso di appurare che l’albanese era in combutta con i due italiani. A seguito di perquisizione dei 3, gli inquirenti hanno recuperato 5 bancali di indumenti e altri 4 di medicinali, tutta merce rubata, e tre sofisticati “jammer”, apparecchi in grado di schermare i rilevatori Gps.


CommentiUn sentito grazie ai Carabinieri per l'encomiabile lavoro che svolgono tutti i giorni.
Purtroppo grazie alle politiche della sinistra “buonista” anche di Cassano, i cittadini sono in balia di criminali e delinquenza di ogni livello e della peggiore risma.

Le sei ragazze musulmane che non fanno il minuto di silenzio


Sei ragazze decidono di non commemorare le vittime delle stragi di Parigi. Sei alunne di un istituto tecnico di Varese, tutte musulmane, figlie di immigrati nordafricani, lunedì mattina si sono alzate dal banco e sono uscite dall’aula durante il minuto di silenzio che nelle scuole d’Italia doveva rendere omaggio ai morti del Bataclan, dello Stade de France, dei bar parigini e di tutti i luoghi spesso affollati da loro coetanei. Un gesto plateale e isolato, del tutto controcorrente. Il fatto è accaduto all’istituto per periti commerciali «Daverio». 



Una realtà di 1.800 ragazzi, con un alto tasso di stranieri che arrivano da mezza provincia di Varese. Il clamore del gesto è stato tale che è stato oggetto di discussione persino al comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza ogni settimana convocato in prefettura e anche la Digos ha avviato accertamenti. Le ragazze hanno tutte 15 anni; un sesto ragazzo nordafricano, loro compagno di classe, è rimasto al suo posto rispettando il silenzio. La polemica è arrivata sui social network con commenti che hanno subito condannato senza mezzi termini l’atto di ribellione con parole crude e talvolta irriferibili, arrivando a chiedere l’allontanamento dall’Italia delle ragazze e delle loro famiglie. Ma Nicoletta Pizzato, preside dell’istituto «Daverio» legge l’episodio non in chiave fondamentalista ma alla luce delle inquietudini tipiche dell’adolescenza. 



«Volevano capire perché commemorare solo Parigi e non l’aereo russo o Beirut - ha detto la docente all’ Ansa - il gesto è stato una richiesta di aiuto a capire quale sia la discriminante nella valutazione dei morti; la scuola deve educare, formare e raccogliere gli interrogativi posti dagli alunni». Raccontano che le sei ragazze, finito il minuto di silenzio, siano rientrate in classe e sul loro gesto sia immediatamente partito un dibattito tra i ragazzi e i professori. Ma resta l’interrogativo di fondo: come possa essersi acceso nell’animo di sei giovanissime un imperativo talmente forte da spingerle a un simile gesto di disobbedienza davanti ai compagni con cui condividono ogni giornata.

giovedì 19 novembre 2015

Guardie padane, tra storia e giustizia 33 prosciolti 19 anni dopo i fatti

L’inchiesta iniziò a Verona con il procuratore Guido Papalia, che contestava l’associazione militare a scopi politici. Nella città veneta processo sospeso e atti trasmessi a Bergamo: il gup mette la parola fine. «Non luogo a procedere»



A dire se c’è mai stata un’organizzazione militare a scopi politici dentro la Lega Nord, sarà la storia. Non la giustizia italiana, che è stata lentissima: 18 anni dopo i fatti contestati dall’allora procuratore di Verona Guido Papalia, il gup di Bergamo Tino Palestra ha messo questa mattina la parola fine sulla vicenda giudiziaria delle Guardie Padane (salvo ricorsi della procura).

Il giudice ha dichiarato il non luogo a procedere per 33 imputati: il sostituto procuratore Gianluigi Dettori chiedeva il processo per tutti con l’accusa di «associazione militare a scopi politici». Ma il tribunale avrebbe ravvisato una «scarsa continuità», nell’ordinamento italiano, sulla «punibilità del reato ipotizzato».

Una vicenda giudiziaria superata certamente dalla storia. I termini della prescrizione si sono allungati più volte perché, in molti casi, le difese avevano sollevato conflitti di attribuzione, visto che tra i primi indagati c’erano anche parlamentari europei e italiani, inclusi Marco Formentini e Umberto Bossi.

Il processo era finalmente iniziato a Verona nella primavera del 2014. Ma anche a dibattimento in corso, essendoci atti che rimandavano al territorio di Bergamo e Pontida per la fondazione delle Guardie Padane, gli avvocati avevano chiesto il trasferimento di tutto il procedimento proprio a Bergamo. Così è stato al termine dell’anno scorso. Ma dopo la richiesta della procura il gup ha chiuso la vicenda.

Cosa dice il CORANO a proposito di NOI infedeli!!!


lunedì 16 novembre 2015

Gli attentati di Parigi e la Fallaci «Scusaci Oriana, avevi ragione» Il risarcimento postumo è online

S u Twitter, su Facebook, sui social network, dopo l’apocalisse di Parigi è tutto uno «scusaci Oriana». Anzi, tutto no. La parte opposta se la prende aspramente, rancorosamente, con «il delirio della Fallaci», con «l’odio fallaciano». Uno ha scritto, come in una disputa teologica, contro il «fallacianesimo». Ma insomma, da una parte e dall’altra fioriscono le citazioni di Oriana Fallaci. Si vede nel massacro di Parigi il frutto della «profezia di Oriana». Si citano brani interi de La rabbia e l’orgoglio, un libro che ha venduto un numero incalcolabile di copie, che ha intercettato un umore popolare, che ha dato voce a un sentimento diffuso. E oggi, dopo anni di dimenticanza e di marginalizzazione, lo «scusaci Oriana» sembra essere la ricompensa postuma, il risarcimento per una sordità, quasi a considerare Oriana Fallaci come una intrattabile estremista. Mentre ora si vede che le sue diagnosi non erano poi così insensate.



Un passo della Fallaci molto citato: «Intimiditi dalla paura di andar controcorrente cioè d’apparire razzisti, non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata alla rovescia. Abituati come siete al doppio gioco, accecati come siete dalla miopia, non capite o non volete capire che qui è in atto una guerra di religione». «Brava Oriana», «Scusaci Oriana», «Non ti hanno voluto ascoltare Oriana», si batte e si ribatte sui social network. E giù anche con gli improperi di Oriana Fallaci sull’Italia molle e arrendevole, «l’avamposto che si chiama Italia» come lo definiva beffardamente lei: «avamposto comodo strategicamente perché offriamo buonismo e collaborazionismo, coglioneria e viltà». E sulla «coglioneria» s’alza la standing ovation dei fallaciani dell’ultimissima ora, o forse della prima perché compravano avidamente i suoi libri ma non avevano il palcoscenico di Internet sul quale esibirsi. E la profezia della Fallaci che viene rilanciata, e poi contestata, e poi brandita come un’arma della guerra culturale, e poi vituperata, e poi sventolata come una bandiera: «Ma presto si scateneranno. Molti italiani non ci credono ancora. Si comportano come i bambini per cui la parola Morte non ha alcun significato. O come gli scriteriati cui la morte sembra una disgrazia che riguarda gli altri e basta. Nel caso peggiore, una disgrazia che li colpirà per ultimi. Peggio: credono che per scansarla basti fare i furbi cioè leccarle i piedi».

E poi, la previsione più precisa, geograficamente circostanziata, in perfetta connessione con l’orrore che ha scosso la Francia: «Parigi è persa, qui l’odio per gli infedeli è sovrano e gli imam vogliono sovvertire le leggi laiche in favore della sharia». La Francia che non ha mai amato Oriana Fallaci. E bisognerebbe anche ricordare che in Francia la Fallaci, assieme a Michel Houellebecq molto prima che uscisse Sottomissione, fu messa sul banco degli accusati con l’imputazione, che assomiglia a una scomunica ideologica, di «islamofobia»: un’impostura intellettuale che diventa reato e che in Francia, nella Parigi che ieri è stata sconvolta dalla follia fanatica dei combattenti jihadisti, è diventata un’arma di ricatto per tacitare la «parola contraria», come direbbe Erri De Luca in un contesto peraltro completamente diverso. La Fallaci del dopo 11 settembre ha sempre diviso l’opinione pubblica: l’hanno amata e l’hanno odiata, hanno comprato milioni di suoi libri e l’hanno bollata come fanatica al contrario, come guerrafondaia scatenata, come una pericolosa incendiaria quando descriveva Firenze assediata e violentata dagli immigrati che orinavano sul sagrato del Duomo, con un’immagine aspra, violenta. Senza che nessuno si chiedesse: aspra ma vera? Violenta ma corrispondente alla realtà? Oggi, dopo il massacro di Parigi, quelle domande tornano di attualità e vengono assorbite e fagocitate da quel grande mostro onnivoro che è il mondo dei social network. «Scusaci Oriana» su Twitter. Neanche una «profezia» della Fallaci poteva arrivare a tanto.

Vive la france


Bastardi ISLAMICI !!


venerdì 13 novembre 2015

Prezzo del latte, Salvini attacca Serracchiani: «Non capisce una fava»



«La Serracchiani non capisce una fava. Qui con le quote latte non c’entra nulla ma si parla del prezzo del latte:avvisatela così evita di fare figure di m...». Così il segretario della Lega Matteo Salvini , durante un presidio degli allevatori Copagri a Milano. Il vicesegretario del Pd Debora Serracchiani aveva detto: «La Lega più che marciare su Roma dovrebbe marciare a Via Bellerio, gli allevatori ancora oggi pagano le loro bugie sulle quote latte»



Matteo Salvini apre una confezione di latte e la beve pubblicamente, a favore di telecamere e passanti, per dire che lui consuma «solo latte italiano» mentre «le altre schifezze se le bevano gli altri». In piazza Cordusio, a Milano, il segretario della Lega è arrivato venerdì alle 13 per sostenere ancora una volta gli allevatori nella loro battaglia per un «prezzo del latte onesto». «Il governo dorme - ha attaccato Salvini -, i produttori agricoli chiudono perché lavorano sotto costo, sono schiavi delle multinazionali e dei supermercati. Qui ci vuole un po’ di orgoglio nazionale: bisogna andare a Bruxelles, da chi impone prezzi folli, a dire che è impossibile dare 35 centesimi al litro a chi munge la vacca e poi vendere a 1,5 euro latte nei supermercati che nella maggior parte dei casi arriva dall’estero».

«Comprate solo latte italiano»
Tra gli allevatori, Salvini ha lanciato un appello anche ai consumatori «perché controllino e verifichino, comprino e consumino solo made in Italy per aiutare la nostra gente che altrimenti chiude e licenzia». Dalla piazza dunque il leader del Caroccio è tornato a puntare il dito contro Palazzo Chigi, reo di «far finta di nulla. Dico a Renzi: se ci sei batti un colpo - ha detto Salvini - perché se l’Italia chiude Expo per nutrire il pianeta e poi chiude le sue stalle, il pianeta non penso che lo nutri con le alghe con gli insetti o con gli scarafaggi come vuole l’Europa. Noi siamo qua per dare una mano - ha concluso - siamo disposti a tutto anche ad andare a Roma a piedi o sul trattore per difendere non solo il latte, ma l’olio, la carne, le arance, il meglio del made in Italy».

Un solo nome per il centrodestra
Interpellato poi sulle prossime comunali, Salvini ha lasciato intendere che il centrodestra è vicino a identificare il proprio candidato sindaco di Milano. «Non ci sarà il toto-nome». «A breve uscirà il nome - ha detto - ci sono due o tre nomi validi, ne uscirà uno presto». Quanto alla composizione della rosa, Salvini ha chiarito che è aperta a extra-politici: «Non bisogna essere necessariamente politici o parlamentari».

L’ebreo accoltellato
Non potevano mancare le domande sul caso dell’ebreo accoltellato. «Bisogna verificare qualsiasi organizzazione islamica, riconosciuta o no, perché c’è tanta gente perbene ma anche chi perbene non è», ha detto Salvini, convinto che oggi gli «obiettivi sensibili sono 1,2 milioni di cittadini milanesi». Salvini ha collegato l’aggressione all’ immigrazione e al fondamentalismo islamico. «Quando dicevamo che con gli sbarchi rischiavamo di avere terroristi in casa - ha detto il segretario del Carroccio - ci prendevano per matti. Non vorrei che l’intifada dei coltelli fosse oggi a Lorenteggio. Bisogna controllare partenze e arrivi». Secondo Salvini non basta rafforzare la sicurezza solo per gli obiettivi sensibili della città, poiché «a questo punto i punti sensibili sono 1,2 milioni di cittadini milanesi». Di diverso parere il copresidente della Comunità ebraica di Milano, Milo Hasbani, intervenuto a Effetto Giorno, su Radio 24. «Noi speriamo che sia un episodio isolato, certamente fatto contro un ebreo della nostra comunità, ma non è riconducibile a quello che sta succedendo, all’Intifada dei coltelli. Non abbiamo nessun elemento che lo possa confermare. Non si è sentito niente, non è stato rivendicato, la persona non ha detto niente in arabo come viene fatto di solito. Non c’è alcun tipo di segnale che possa essere collegato».


Intervista a Roberto Cota



Cota, Cota, Cota… Mi ricordo mutande verdi?
«Non me ne parli, è stata un’umiliazione, figlia di un mondo senza senso. Ma sono positivo, guardo avanti e provo a dire che anche questa cosa mi è servita. Mi ha insegnato cos'è la sofferenza. Ho sofferto come un cane, ed è ancora così».

Le ha ancora?
«Non si metta anche lei a fare del voyeurismo. C’è ancora un processo in corso, ho chiesto io il rito immediato. 
Comunque erano pantaloncini, dissero che erano mutande per puro dileggio e il verde e la Lega non c’entrano niente».

È tranquillo? 
«In tre anni è stata utilizzata una somma minima per spese legate all’attività politica, anche dei miei collaboratori. Sono il prototipo del politico morigerato e anti-casta, un antesignano dei grillini. Per questo mi rode».

È stata una stupidaggine?
«No, un errore umano, come ha testimoniato chi di dovere al processo. Ero a Boston a un corso intensivo di inglese, ho offerto un pranzo al professore che mi aveva portato a visitare il Mit e siccome il ristorante era in un centro commerciale, nelle spese ci sono finiti dentro anche i pantaloncini. Io consegnavo gli scontrini al gruppo consiliare ai miei collaboratori chiedendo loro di fare una cernita, quei 40 dollari non sono stati spuntati per sbaglio, senza che io ne sapessi nulla».

Almeno l'ha imparato l'inglese?
«Faccio ancora fatica. Conto su mia figlia Elisabetta, che ha sette anni. Oggi a scuola l'inglese lo insegnano da subito e bene. Lo imparerò da lei».

Le ha mai comprato un vestitino verde Padania, tipo i famosi pantaloncini?
«Come ho già detto questa storia è un’ignobile strumentalizzazione, comunque tengo la mia famiglia ben lontana dalla politica, per preservare me e loro.

Un viaggio fallimentare, a Boston…
«Che mi sono pagato di tasca mia, mentre come fanno molti politici avrei potuto metterlo in conto alla Regione come aggiornamento. Comunque, ho restituito tutti i soldi che mi erano stati dati a titolo di rimborso spese. Anzi, di più: ho dato indietro 32mila euro».

E perché, se non ha fatto nulla di male?
«Per mettere una pietra tombale su tutto e ripartire. Non ho fatto politica per arricchirmi ma perché sono un idealista. Comunque questa storia ha avuto conseguenze ben più pesanti».

In che senso?
«È servita per farmi cadere da presidente della Regione, quello era un finto scandalo, Repubblica lo pompò per spingere il ricorso della Bresso e tornare alle urne avendomi messo preventivamente fuori gioco. Una vicenda emblematica dello scippo di democrazia che ormai si consuma ai danni dell'elettorato italiano».

Possiamo ripercorrerla?
«Ho vinto di 9000 voti ma avevo 150mila preferenze personali in più dei voti di lista. La Bresso ha presentato nove ricorsi. È stato subito accertato che non c'erano brogli, allora la sinistra si appellò all'autenticazione irregolare di alcune firme di una delle 18 liste collegate che mi sostenevano, persone che avevano ottenuto 4-5 preferenze». Assurdo».

Anche la Bresso aveva problemi di firme?
«Certo, ma io avevo vinto e non ho fatto ricorsi; non andavo in giro a cercare firme irregolari, governavo. Invece la sinistra, piena di scheletri nell'armadio, contestava l'autenticità di firme che non potevo controllare. Ma perché Chiamparino? Le sue firme sono addirittura false, ma troveranno il modo di farlo arrivare fino a fine mandato».

Come mai non è riuscito a difendersi?
«È stato un uno-due massacrante, studiato a tavolino. Ero frastornato. Dovevo aspettarmelo, la sinistra non ha mai accettato di perdere una Regione così importante per mano di un leghista. In campagna elettorale mi sputavano per strada, ho subito gravi intimidazioni».

In strada ora la fischiano o le stringono la mano?
«Mi incoraggiano. Avrei tante storie da raccontare, commoventi. La gente semplice è in grado di darti più forza del lacché interessato, che ti abbandona quando non gli servi più. Ho imparato anche questo e non lo scorderò più».

Ma allora sta con Marino, che dice di essere un eletto cacciato da un non eletto?
«La sua posizione non è sbagliata, ma credo che sia un bene per tutti che non governi più Roma».

Renzi si troverebbe meglio con lei che con Chiamparino, viste le polemiche sulla Finanziaria?
«Chiamparino è un grande attore. In pubblico dissente ma fa un gioco funzionale al premier».

A chi dei due dà ragione?
«Facile: a nessuno dei due. Renzi non capisce che i tagli che impone mettono a rischio il diritto delle persone a curarsi. Chiamparino si lamenta, ma non ha mai fatto nulla per migliorare la situazione».

A conti fatti le conveniva restare capogruppo alla Camera…
«Mi conveniva e mi piaceva. Ma Bossi già nel 2000 mi profetizzò che sarei diventato governatore. Comunque, sono stato più bravo come governatore che come capogruppo».

A cosa rinuncerebbe per tornarci?
«La politica è sempre stata la mia vita, questo è innegabile. Però non dipende da me, credo nella Lega e farò quello che mi chiederanno di fare».

Si ritiene vittima di un complotto politca-stampa-magistratura?
«Guardo avanti e ci tengo a non sembrare paranoico ma c'è stata molta pressione su di me. non ho niente contro i giudici, ne ho sposato uno. Anche se non aveva ancora la toga, era la relatrice della mia tesi di laurea».

Come scoccò la scintilla? 
«Mi fece un cazziatone e io le mandai una pianta con un biglietto: "All'assistente più simpatica". Ci impiegai sei anni a fidanzarmi».

Cosa fa da quanto non è più governatore?
«Non ho voluto strapuntini né incarichi pagati. Faccio il militante e lavoro per scegliere il mio successore alla segretaria del Piemonte. Mi mantengo facendo l'avvocato penalista, in studio con mio padre e un collega, che ha 80 anni e non molla. Voleva ritirarsi, poi io sono tornato e ha ripreso a mille».

Non un padano doc, i suoi nemici dicono che Cota è un cognome albanese…
«È di San Severo, provincia di Foggia. Vive a Novara da 60 anni e ha sposato una piemontese doc. Del meridionale gli resta poco, è più guardingo e riservato di un novarese di nona generazione. Però non vedo cosa ci sia di male, anzi».

Test di piemontesità: Toro o Juve?
«Io tifo Novara ma fra i due dico Toro».

Perché è contro il potere?
«Perché ce l'ha più dura, e chi è piemontese sa cosa voglio dire».

Come è riuscito a entrare nel cuore di Bossi? 
«Quando mi candidai sindaco a Novara ottenni un buon risultato. Poco dopo mi chiamò perché ero avvocato, chiedendomi di occuparmi di alcune querele. E su un foglio bianco mi tracciò tutto l'organigramma futuro del partito. Quando cacciò Comino nel '99, mi fece segretario nazionale del Piemonte. E lo sono ancora, anche se per poco».

Un rapporto esclusivo? 
«Un rapporto di fiducia, che si è rinsaldato con la malattia. Dicono che ero del Cerchio Magico, ma non è vero. Prima, mi chiamava nel cuore della notte per spiegarmi cosa dovevo fare: due ore al telefono e la mattina dopo in udienza. Poi mi ritelefonava per dirmi che non avevo capito niente. Ho risolto con un block notes sul comodino e tre caffè prima di andare in tribunale».

La litigata più pesante?
«Nel 2009, io insistevo per un presidente di Provincia leghista, lui mi ignorava. Io non mollavo, inzigavo; alla fine mi disse a brutto muso di non rompere i c…. Aveva fatto un accordo e non voleva dirmelo».

La Lega lo sta trattando male?
«È in Parlamento, è presidente. Certo, ogni tanto le spara anche a Salvini, ma penso che il ruolo di battitore libero gli stia benone».

Ma Bossi ha sbagliato?
«Con la candidatura del figlio di sicuro, l'ha anche ammesso, però allora non ho sentito dirigenti lamentarsi. Per il resto, dobbiamo considerare quello che ha avuto. Ha già fatto un miracolo. Di certo comunque non ha rubato, è disinteressato al denaro».

Bossi era un dittatore ma aveva tanti colonnelli, Salvini non lo è ma ha egemonizzato la Lega.
«Salvini è un grande front man. Ora deve lavorare alla squadra, e lo sta facendo».

Salvini non è sempre elegantissimo, tra felpe e certi gessati… 
«E questo che importanza ha? Una persona normale non va dal sarto tutti i giorni».

Che c'azzeccate con la Meloni?
«Quel poco che basta per un accordo elettorale che tenga».

E con Berlusconi come finisce?
«Bene, come sempre. L'intesa è una strada obbligata».

Si parla di Zaia premier...
«È un grande governatore della Lega ma non vedo perché il premier non lo debba fare Salvini, come peraltro dice anche Zaia».

Lei ha più il phisyque du role del forzista, mai pensato al salto?
«Non potrei immaginarmi fuori dala Lega. Sono moderato nella forma ma nel cuore sono una camisa verda. Voto Lega dal 1987, sono il più vecchio della generazione di chi ha sempre votato Lega. Ho iniziato nel sottoscala del bar di Otello, ai tempi di fatto la sezione cittadina della Lega, ci riunivamo in 4-5».

Meglio Maroni o Buonanno?
«Come stile chiunque direbbe che mi è è più vicino Maroni ma Buonanno nella Lega è merito mio. Aveva un suo movimento locale, l'ho corteggiato dieci anni. Gli dicevo: «Guarda che dentro sei un leghista». Quando l'ho convinto ho sollevato mal di pancia interni, perché era troppo bravo. È un sindaco efficiente . E di quelli che non ti accoltellano».

Meglio Renzi o i rottamati?
«Comunista non lo sono mai stato. Però preferisco un comunistone vecchio stampo, che crede fermamente alle sue idee sbagliate piuttosto che questa melassa renziana. Meglio la schiettezza e gli ideali alla falsità e all'opportunismo imperanti. I comunisti mi fanno sorridere, i renziani mi inquietano».

martedì 10 novembre 2015

Salvini e gli attivisti scarcerati: «La “giustizia” italiana mi fa schifo»Salvini e gli attivisti scarcerati: «La “giustizia” italiana mi fa schifo»

Il leader leghista: «Sono già liberi i due “bravi ragazzi” dei centri sociali arrestati per resistenza e lesioni contro polizia e carabinieri. Più di 5 anni di galera al povero Ermes Mattielli, che si era difeso dai ladri, e neanche 12 ore a chi picchia un poliziotto»


Non usa mezzi termini. «La “giustizia” italiana mi fa schifo». Così il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha dato sfogo su Facebook a tutto il suo disappunto per la scarcerazione degli attivisti dei centri sociali fermati domenica nel corso delle manifestazioni di protesta organizzate a Bologna contro il palco del centro destra.



La protesta
«Sono già liberi i due “bravi ragazzi” dei centri sociali arrestati domenica a Bologna per resistenza e lesioni contro polizia e carabinieri - ha scritto Salvini -. Più di 5 anni di galera al povero Ermes Mattielli, che si era difeso dai ladri, e neanche 12 ore a chi picchia un poliziotto. La “giustizia” italiana mi fa schifo».

Il riferimento del segretario della Lega è al commerciante veneto che si era ribellato ai ladri, deceduto a seguito di un infarto lo scorso 5 novembre.

lunedì 9 novembre 2015

Lo Stato paga i debiti dei Ds

Tocca ai contribuenti ripianare parte dei debiti colossali dei Ds: lo Stato ha versato 107 milioni di euro nelle casse delle banche creditrici del partito. Ma non è finita: da saldare mancano altri 18 milioni di euro

Lo Stato ha versato 107 milioni di euro nelle casse delle banche creditrici dei Ds.


ome denuncia Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, è toccato ai contribuenti ripianare parte dei debiti colossali del partito. Da saldare alla Sga, società nata dieci anni fa per recuperare i crediti dal crac del Banco di Napoli, mancano altri 18 milioni di euro.
I 107 milioni di euro pubblici sono stati parcheggiati nelle casse delle banche creditrici dei Ds con "riserva". Sul malloppo pende ancora il giudizio di appello. Una legge del 1998 estende la garanzia dello Stato già vigente sui debiti degli organi di partito ai debiti del partito che si faceva carico dell’esposizione del proprio giornale con le banche. "Sembrava una norma scritta su misura per il quotidiano diessino l’Unità - denuncia Rizzo sul Corriere della Sera - tanta generosità era tuttavia condivisa con tutti gli italiani che pagano le tasse. Visto che il partito si accollava i debiti del giornale insieme alla garanzia statale trasferita per legge dal giornale al partito. Che se non avesse pagato lui, avremmo pagato noi". E, nonostamte il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti abbia abbattuto gran parte dei 450 milioni di euro di debiti, adesso gli italiani si trovano a dover mettere mano al portafogli. Nonostante fosse stata approvata pure una legge che consentiva il pagamento dei contributi pubblicianche nel caso di scioglimento anticipato della legislatura (come avvenne nel 2008, quando i Ds partorirono il Pd), sul groppone dello Stato sono rimasti appunto 125 milioni di euro.
Il Pd non ha raccolto l'eredità economica dei Ds e della Margherita, che per tre anni hanno continuato a intascare i fondi statali. "La separazione dei destini economici consentì ai Ds con l’abile regia di Sposetti di blindare il patrimonio immobiliare dell’ex Partito comunista in una cinquantina di fondazioni indipendenti dal partito centrale perché emanazione delle federazioni provinciali - denuncia Rizzo - ovvero, soggetti giuridici autonomi". Non avendo più immobili da pignorare, le banche hanno chiesto allo Stato di sborsare i 125 milioni di euro. "Il debitore è morto - diceva Sposetti, attualmente senatore del Pd e presidente della Fondazione Ds, ai microfoni di Report - se il debitore muore, che succede? Ci sono le norme e in questo caso un magistrato civile ha detto 'guarda, signor Stato, che devi pagare tu…'". Ovvero i contribuenti.