L’inchiesta della Procura di Padova sul fenomeno
delle partite Iva per attività fantasma
Richard Antwi l’ha pensata così: apro una partita Iva, chiedo i soldi allo Stato e scappo. Gli è andata bene. Ora è in Ghana, nel villaggio ashanti di Jamasi che aveva lasciato nel 1991, e con quei 29 mila euro punta forse a fare il principe. Stessa scelta ha per un suo connazionale, Oscar Owusu, anche lui ghanese, anche lui protagonista di un mordi e fuggi con le casse pubbliche che gli ha fruttato 28 mila euro, incassati e portati in fretta fra le colline della foresta pluviale dell’Africa nera, dicono gli inquirenti.
FINTO KEBAB - Mentre Youssef Mohamed avrebbe scelto il ritorno al suo deserto marocchino per ripartire da zero, o meglio, da quei 18 mila euro versati sul suo conto dall’Inps per finanziare un kebab che nessuno ha mai visto. Tre storie analoghe di altrettanti stranieri, forse solo i primi tre di una lunga lista, come sospetta la procura di Padova dopo aver aperto in rapida successione diversi, distinti fascicoli. L’ipotesi è quella di una truffa colossale ai danni dello Stato italiano, sulla quale stanno indagando gli uomini della Guardia di Finanza coordinati dal pm Sergio Dini che ha deciso di passare al setaccio i registri delle partite Iva aperte negli ultimi anni per capire quanti sedicenti artigiani e imprenditori hanno ricevuto somme per ditte esistenti solo sulla carta ma di fatto fantasma. Negli uffici delle Fiamme Gialle stanno così affluendo i dati dell’Agenzia delle Entrate e delle Camere di Commercio che gli inquirenti dovranno incrociare.
LA LEGGE - In sintesi: Antwi, Owusu e Mohamed avrebbero ottenuto le somme dall’Inps in modo fraudolento, sfruttando un articolo una legge, la 223 del 1991, che consente l’erogazione di finanziamenti pubblici a chi rimane senza lavoro se avvia una nuova attività. La forma è quella dell’anticipo in blocco dell’indennità di mobilità che altrimenti sarebbe diluita nel tempo. Nel caso specifico stiamo parlando di tre extracomunitari regolari, che hanno lasciato i loro paesi perché lì non vedevano un futuro; tre uomini che hanno lavorato molto e pagato le tasse in Italia, che si sono fatti ben volere a Tombolo, Cittadella e Campo San Martino, nel Padovano, dove hanno vissuto a lungo e dove si sono integrati e dove Antwi ha pure ottenuto la cittadinanza italiana. Tre operai di tre diverse imprese che hanno poi vissuto un dramma comune: il licenziamento. Detto questo, bisogna anche dire che hanno deciso di chiudere la loro esperienza italiana interpretando in un modo decisamente riveduto e scorretto la legge: con una truffa e una fuga.
OSCAR IN GHANA - Partiamo da Owusu. Arrivato dal Ghana nel 1991, operaio della Gs engineering di Galliera Veneta fino al novembre del 2012, una volta ricevuta la lettera di licenziamento non ci ha pensato due volte: ha aperto la sua partita Iva per «commercio al dettaglio di abbigliamento ed accessori», ha quindi chiesto il finanziamento e ha atteso l’incasso. Tre mesi dopo i 28 mila euro erano sul suo conto. «E tre giorni dopo ha chiuso la partita Iva - scrive il magistrato nell’atto di conclusione delle indagini preliminari - percependo così una somma giustificata con l’avvio di un’attività autonoma in realtà insussistente». L’hanno cercato a casa ma Oscar Owusu era sparito. La signora Stragliotto, che abita nel suo stesso condominio di Tombolo, ne è certa: «Oscar lo conoscevo bene, sarà tornato in Africa un anno fa, dopo che l’hanno licenziato. Erano una persona seria, un grande lavoratore». La signora ignora naturalmente la storia del tesoretto. Ma le Fiamme Gialle hanno passato al setaccio i suoi conti e della nuova ditta non ha trovato traccia. «A quell’impresa individuale risultano intestato solo un bloccasterzo da 60 euro, alcuni detersivi e un bagnoschiuma».
ANTWUI E IL BAGNOSCHIUMA - Quasi fotocopia la storia di Richard Antwi, che sembra non conoscesse il suo connazionale. Anche lui operaio, anche lui licenziato a fine 2012, sposato, un figlio. Antwui ha aperto un’attività con questo oggetto: «Vendita di prodotti di pelletteria». Poi ha chiesto i suoi 29 mila euro che l’Inps gli ha accreditato il 18 marzo del 2013 per l’acquisto dei materiali e dei mezzi necessari alla start-up. Ma il 21 marzo Antwui chiude l’attività e scompare. «Saranno sette otto mesi che non lo vedo più - ricorda Renzo Baretta, vicino di casa - So che la moglie e il figlio se n’erano andati prima di lui, in Inghilterra. Li avrà raggiunti lì (per gli investigatori è invece più probabile in ritorno al villaggio ghanese, ndr)». Alla sua impresa di pelletteria risulta intestato un solo acquisto: «Per flaconi di bagnoschiuma». Dieci euro. Che è più o meno la stessa cifra scovata nei conti del kebab di Youssef. In definitiva, sarebbe andata così: il terzetto si è ritrovato improvvisamente per strada, con moglie e figli da mantenere, ha visto l’opportunità offerta dalla leggina, che un po’ suggerisce l’inganno, e ha proceduto.
IL RE DI JAMASI - «Una norma stravangante - l’ha definita lo stesso pm - che consente anticipi medi di 20 mila euro aprendo una semplice partita Iva. Lo spirito sarebbe anche giusto se la cultura fosse quella della legalità. Ma siccome così non è, bisognerebbe almeno rafforzare i controlli preventivi. E così deve intervenire repressivamente la magistratura». Gli inquirenti sorridono immaginando Antwi in una reggia fra le palme e i mango del Ghana. Sarà lui, l’italiano Richard Antwui, il nuovo re di Jamasi.
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