venerdì 30 gennaio 2015

BERGAMO - Belotti «Per una napoletana come lei meglio un’altra città»

Tirata su Facebook: «Per lo stesso tipo di incidenti a Roma solo una giornata di penalizzazione. È una questione di rispetto»




Quinta partita vietata al Comunale per chi non ha la tessera del tifoso. E questa volta il segretario della Lega Daniele Belotti, sangue nerazzurro, non ci ha più visto. Sulla sua bacheca Facebook è comparsa una tirata in due tranche contro il prefetto di Bergamo Francesca Ferrandino. Partendo dal finale: «Una curiosità - scrive Belotti, rivolgendosi direttamente alla Ferrandino -: ma lei si trova bene in questa terra fredda, nebbiosa, scontrosa? Non sarebbe meglio, per una napoletana doc come lei, andare a fare il prefetto in una bella città soleggiata, sul mare, tra gente socievole, laboriosa e sorridente? Si faccia un regalo, chieda un’altra sede, potremmo aiutarla... Con rispetto e riverenza!».


Francesca Ferrandino

Il «cuore» dell’attacco è il bilancio, secondo Belotti, del lavoro svolto dal prefetto in questo suo primo anno a Bergamo: «Ci sono stati - elena il leghista - 5.000 furti in più in provincia di Bg arrivando a ben 39.354; ha fatto aspettare 5 mesi a 40 sindaci per un appuntamento; altri 3 ad un sindaco che doveva discutere di 300 posti di lavoro a rischio; da due mesi sta “togliendo” l’Atalanta a migliaia di tifosi in partite che valgono la salvezza; non si preoccupa di pagare alla Provincia l’affitto degli uffici della Prefettura e dell’imperiale appartamento prefettizio (sono 2 milioni di arretrati!); non si fa mai trovare dalla stampa per una spiegazione; requisisce un immobile destinato ai bambini, la Cà Matta, nel Parco dei Colli per riempirlo di pseudo profughi». E ancora: «Respinge le richieste di trasparenza sui bilanci della gestione profughi; ha richiamato i sindaci che hanno osato mettere la bandiera a mezz’asta; ha invitato tutti i comuni, visto che non ci sono altri problemi, a esporre la bandiera italiana il 24/9, ricorrenza dell’insurrezione di Napoli, e quella dell’Onu (che nessuno possiede) il 28/10, per il 69° anniversario di fondazione delle Nazioni Unite».

«Ha fatto altro? - domanda Belotti - Non se ne è accorto nessuno». In premessa Belotti era tornato su un tema caro ai tifosi dell’Atalanta: «Che strano - sottolinea -: per lo stesso tipo di incidenti, a Bergamo sono due mesi che non si possono vendere biglietti, mentre Roma e Lazio sono state penalizzate con una sola partita vietata. Non è solo una questione di due pesi e due misure, ma di rispetto verso la città».

Umberto Bossi: "Silvio Berlusconi ha sbagliato tutto"

Umberto Bossi boccia Silvio Berlusconi per come ha gestito il Patto del Nazareno, lo accusa di essere stato troppo morbido con il premier. In un'intervista al Messaggero l'ex leader della Lega spiega che Berlusconi "ha commesso molti errori e credo che lo sappia anche lui. Il più grave è stato quello di non battere il pugno con Renzi quando era il momento, quando hanno cominciato a parlare dei candidati per il Quirinale. Non doveva farsi fregare dalla questione del metodo, non conta niente il metodo, contano i nomi".


La ricetta - Secondo Bossi Berlusconi avrebbe dovuto parlargli chiaro e dirgli: mi hai fatto votare delle porcherie come la legge elettorale e quelle che chiamate riforme costituzionali. Adesso devi votare tu il candidato che dico io, altrimenti vai a quel Paese". e per quanto riguarda l'eventuale elezione di Sergio Mattarella, il Senatur non ha dubbi: "Se Mattarella va al Quirinale a Silvio mangiano tutto, ancve le televisioni. E finisce che lo sbattono in galera". La ricetta di Bossi è chiara: Silvio dovrebbe votare scheda bianca per un paio di votazioni e poi trovare un buon candidato e opporlo a Mattarella dalla quarta votazione in poi". La conclusione di Bossi è che se da un lato Berlusconi ha fatto troppi errori, Renzi ha fatto il furbo. 

giovedì 29 gennaio 2015

www.lapadania.net. La democrazia è il potere di un popolo informato




«Non credo siano molti gli uomini politici che, come Umberto Bossi, hanno dovuto subire, da parte della stampa e della televisione, i danni di un sistematico processo di disinformazione».

Si apriva così, nel 1992, la prefazione di Gianfranco Miglio alla prima autobiografia di Umberto Bossi Vento dal Nord. E l'analisi dell'ideologo del Carroccio, credo abbia profondamente influenzato il progetto che diede avvio alla nostra avventura editoriale con l'approdo in edicola del nostro quotidiano nel gennaio del 1997. La contro informazione divenne autentico contro potere, e la Lega d'opposizione al primo governo Prodi, trovò nel suo giornale lo strumento, sia nei contenuti che nella forma, di lotta politica. Dopo gli anni d'assalto del secessionismo, la Padania ha saputo raccontare gli anni della Lega di governo, per poi, dal 2011 ad oggi, ritornare al fianco di una Lega capace di incarnare l'unica opposizione ai commissari prefettizi dell'Unione europea: Monti, Letta e Renzi.

Nell'ultimo anno, accanto al quotidiano cartaceo vi abbiamo anche proposto il nostro sito multimediale: www.lapadania.net. Un portale che ha riscosso grande consenso sulla rete in una fase politica segnata dall'ascesa del fronte anti-euro e anti-immigrazione guidato da Matteo Salvini e dalla rovinosa caduta di Grillo, ormai tribuno sfiatato che con l'inganno dell'antipolitica si è fatto complice dell'illusionista fiorentino al governo.

Un sito che solo dopo un anno, nonostante la crescita costante, conclude oggi la sua corsa. Proprio come la nostra Padania.

Dopo quasi 18 anni di onorata carriera, anche il nostro giornale, ultimo quotidiano di partito a resistere in edicola, termina oggi le sue pubblicazioni.

Colpe e colpevoli si sommano. Sul banco degli imputati c'è certamente il taglio al Fondo per l'Editoria. Le risorse destinate ai giornali per garantire il pluralismo dell'informazione sono ormai un lusso insostenibile per un Paese in crisi economica e occupazionale. Accanto alla deriva oligarchica dell'informazione però ci sono anche vecchi e innegabili errori di mala gestio, cassaintegrazioni e ristrutturazioni inefficaci.

E comunque, quando chiude un giornale, nessuno può autoassolversi.

Forse nell'era della comunicazione liquida e destrutturata, del dominio narcisistico dei social network, della disintermediazione politica, e della rapsodica informazione digitale, gli house organ di partito appaiono obsoleti e anacronistici. Quel che è certo, però, è che se il nostro quotidiano, come tutti i quotidiani di partito, può sembrare antistorico, è entrato a far parte della storia politica nazionale e della storia della Lega Nord. Una Lega, che oggi, con Matteo Salvini, saprà rigenerarsi in una rinnovata comunità politica che darà inizio alla sua nuova storia.
Senza vittimismi e senza retorica ringrazio la mia redazione che ha fatto con onore il suo dovere e il suo mestiere fino all'ultimo. 

Con profonda riconoscenza saluto i nostri lettori. Grazie.

mercoledì 28 gennaio 2015

La Lombardia approva la legge anti moschee

La Regione Lombardia ha approvato la legge anti-moschee dando così uno schiaffo al sindaco di Milano Giuliano Pisapia che aveva indetto un bando per l'assegnazione di spazi in città, che avrebbe portato alla costruzione di almeno due moschee. Dopo una lunga giornata di discussioni e di cambiamenti dell'ultimo minuto, la normativa è passata coi voti favorevoli della maggioranza e con quelli contrari del Pd e dei Cinquestelle. In sostanza, con questa nuova legge si irrigidiscono le regole e i requisiti per costituire luoghi di culto. 

Feltri, Caprotti, Terzi. La terna di Lega-Fdi che spariglia i giochi

I due partiti uniti puntano su una figura carismatica che possa guardare anche alla galassia antieuro
Vittorio Feltri, ex direttore del Giornale . Bernardo Caprotti, inventore di Esselunga. Giulio Terzi di Sant'Agata, ambasciatore ed ex ministro degli Esteri.
Un giornalista fuori dagli schemi, un imprenditore controcorrente, una figura istituzionale ma fuori dagli schemi. Dovrebbe uscire da questa terna il nome del candidato per il Quirinale che oggi sarà presentato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni, leader rispettivamente della Lega e di Fratelli d'Italia. I due ieri si sono concentrati sul profilo: una figura carismatica per l'area del centrodestra, un punto di riferimento della galassia antieuro. Un nome che naturalmente non ha nessuna possibilità di vincere la corsa alla presidenza, ma che serve a smascherare le liturgie della politica in politichese e a provocare anche quella parte dell'area moderata impastoiata nelle trattative con il Pd di Renzi.


Insomma, non solo una boutade , un nome buono per un titolo di giornale. Ma una suggestione, un nome che potrebbe e vorrebbe sedurre buona parte del centrodestra ancora senza un candidato di bandiera. Cosa accadrebbe se al primo scrutinio Feltri o Caprotti dovessero incassare la cinquantina di voti ascrivibili a Lega e Fdi oltre a qualche forzista non allineato? E se poi il pacchetto di voti dovesse crescere nella seconda e nella terza manche? Sicuri che sarebbe facile per Silvio Berlusconi obliterare il nome a quel punto in chiaro di Matteo Renzi se in corsa c'è un uomo certamente fatto per piacere al suo elettorato moderato?
In ballo c'è di più della corsa senza speranza di vittoria per il Quirinale. C'è l'indicazione di quello che potrebbe diventare un padre spirituale che faccia da trait-d'union per i due leader circaquarantenni (Salvini ne ha quasi 42, la Meloni appena 38), che a quel punto avrebbero la possibilità di realizzare davvero quello di cui si parla da tempo: una «Cosa» nero-verde, una federazione di aree alleate ma indipendenti unite da alcuni temi (la critica all'Europa delle banche, l'immigrazione) ma autonome sui rispettivi cavalli di battaglia. L'ispirazione c'è già: è la destra integralista ma rassicurante e piena di contenuti del Front National di Marie Le Pen. I dubbi quelli legati alla diversa scala dei due partiti: in questo momento sembrerebbe più un'annessione dei «fratellini» alla Lega che un ménage alla pari.
La mossa di Salvini e Meloni arriva nel giorno in cui entrambi i leader incontrano il premier Matteo Renzi nel suo giro di consultazioni. Colloqui da cui entrambi escono non particolarmente entusiasti. L'altro Matteo: «Renzi ha preso nota delle nostre richieste: per noi il nuovo presidente della Repubblica deve essere stato eletto dal popolo almeno una volta nella vita e non deve essere complice dei disastri europei e della nascita dell'euro. Se il candidato avrà questi requisiti un pensierino potremmo farlo. Siamo rimasti d'accordo che ci farà sapere qualcosa. D'altronde, lui ha i numeri, lui ha 400 voti mentre noi siamo piccolini. Se riusciremo a condizionare positivamente l'elezione del Quirinale saremo contenti». «Da Renzi - aggiunge la Meloni - solo liturgie da prima Repubblica. Lui sta cercando evidentemente un presidente consenziente e non autorevole. Per protesta contro questo metodo vecchio, noi di Fratelli d'Italia saremo in piazza per fare scegliere simbolicamente agli italiani il presidente della Repubblica».

martedì 27 gennaio 2015

L'intervento del segretario Matteo Salvini al congresso del Front National: primo obiettivo comune, fermare l'immigrazione selvaggia dopo decenni di falso buonismo

Cari amici, grazie per questo invito; mai avrei pensato di avere l'occasione di salire sul palco del Congresso del Front National. Non per le diversità delle nostre rispettive storie politiche, quanto per la consapevolezza che, insieme, stiamo rappresentando l'unica possibilità di riscatto dei nostri popoli contro il superstato europeo, il pensiero unico e il furto deliberato della nostra sovranità. La gente in Italia premia la Lega perché capace di essere efficace e di offrire risposte ai bisogni reali, sfondando l'ostacolo dell'appartenenza a un partito o ad un altro, cercando di mettere in testa alle priorità il ruolo che dovrebbe essere di tutta la classe dirigente: fare gli interessi del proprio popolo. Per chi credeva di poter svendere la nostra storia, il nostro saper fare, la nostra identità, questi valori sono solo "populismo". Siamo orgogliosi di poter, finalmente, ridare voce al popolo. Su questi valori abbiamo trovato la tenacia e il coraggio di Marine Le Pen e di tutto il Front National. Non è un'alleanza di comodo, ma la scelta di mettere a frutto la nostra esperienza sui punti in comune e che oggi sono indifferibili.

La Lega Nord è e rimarrà, per vocazione, un movimento autonomista e non possiamo nascondere che la nostra gente ha subìto per anni le ingerenze di uno Stato centrale vessatore, sordo alle esigenze del popolo PADANO; oggi però è venuto il momento di unirci per combattere un nemico comune che mette in pericolo l'esistenza stessa delle nostre comunità. Senza la ricostruzione dell'Europa e la riconquista dello spirito di collaborazione e solidarietà tra i suoi Stati non esistono istanze territoriali, perché la minaccia che abbiamo di fronte sta annientando le nostre imprese, la nostra società e ogni prospettiva di benessere e di prosperità per i nostri figli. Continuerò, e la Lega con me, a rivendicare il diritto che popoli diversi ricevano risposte diverse e adeguate alle loro realtà culturali ed economiche, ma il percorso che ci attende, convintamente insieme, è quello di arrivare a smontare il meccanismo che, al contrario, ci vuole sudditi e tutti uguali al cospetto dei grandi interessi che oggi governano l'Europa, semplici "consumatori" di prodotti e servizi che produce qualcun altro.

La Lega Nord difenderà orgogliosamente i "piccoli", che sono la maggioranza e la spina dorsale della nostra società; chiedono di poter esprimere le loro capacità, chiedono legalità e sicurezza e non accettano più che le loro risorse servano ad alimentare politiche di accoglienza che non producono integrazione ma solo degrado e delinquenza. Il primo obiettivo comune è, quindi, la lotta, dopo decenni di falso buonismo e di finta solidarietà, all'immigrazione selvaggia che non è più sostenibile sia socialmente, sia economicamente. Paghiamo il modello fallimentare che, in questi anni, è stato deliberatamente imposto per sfruttare il ruolo che "nuovi poveri" avrebbero potuto avere nell'abbassare le tutele sociali per tutti. Le periferie delle città bruciano e chi ha dato fuoco ad esse accusa noi di fomentare l'odio; hanno smantellato ogni regola che permetteva di fare la differenza tra gli onesti e i disonesti, indipendentemente dalla provenienza. Nel caos, nel degrado, non c'è più giustizia, non c'è sicurezza. Per nessuno. In questa fase storica che vede la politica in continua evoluzione, dove nel tempo di un mese cambiano tutti gli scenari, è ancor più necessario che in passato che i nostri partiti, le nostre idee, si confrontino, si aggiornino, si arricchiscano reciprocamente. Lo scenario internazionale è in continua evoluzione e le scelte scellerate da parte dei governi occidentali ci sgomentano. Basti pensare alla Russia, alla politica folle intrapresa da chi governa l'Europa non certo nell'interesse dei nostri concittadini. Le aziende, gli imprenditori e i lavoratori che rappresentano le eccellenze produttive francesi e italiane ce lo dicono con forza: la guerra commerciale scatenata contro la Russia non solo non porterà alcun vantaggio geopolitico, ma danneggerà duramente le nostre imprese che avevano trovato in quel mercato opportunità di crescita e sviluppo. Che senso ha scatenare una guerra commerciale nei confronti del principale baluardo contro la diffusione della barbarie dell'estremismo islamico? Perché dovremmo invece dare ascolto a chi, con una folle politica estera, ha fornito a sanguinari estremisti possibilità di sviluppo, diffusione e addirittura adesso interi Stati e territori?



Sappiamo che, insieme a voi, rappresentiamo la vera Europa, quella che oggi è sotto la polvere del relativismo e dell'omologazione, ma che esiste e che va riscoperta. Esiste nei cuori e nelle storie personali, nelle tradizioni familiari di ciascuno di noi. È quell'Europa che si richiama al valore della famiglia tradizionale, al concetto del lavoro come base necessaria per la dignità dell'uomo. Il lavoro deve essere liberato dal giogo della moneta unica, non c'è un'altra soluzione possibile, e il popolo francese, come quello italiano, lo sta comprendendo. L'aver smantellato il sistema dei cambi flessibili e le monete nazionali ha impedito ai nostri settori produttivi di reagire in modo adeguato alla crisi; stiamo, inutilmente, percorrendo una corsa al ribasso sui salari, sulle tutele sociali, per rimanere competitivi sui mercati non potendo più contare su una moneta nostra, che renda competitivo e reale il prezzo dei nostri prodotti.

La fortezza dell'euro si sta sgretolando sotto i colpi dei principi fondamentali dell'economia; solo chi ha avuto la presunzione di poter "costruire" un "sentimento europeo" partendo dal vincolo esterno e da una moneta uguale per tutti poteva pensare che sarebbe stato un modello sostenibile; non è stato un errore in buonafede, sappiamo che da questo stato di cose pochi, in Europa, guadagnano e molti perdono. Stiamo assistendo, tutti i giorni, alla retromarcia di tanti fautori di quelle scelte di fronte alla realtà dei fatti e alla disperazione della gente. I meno avveduti pensano che proclamarsi semplicemente contro l'austerità, che è solo l'effetto dell'euro e non la causa, possa permettere loro comunque di mantenere lo "status quo" strizzando l'occhio al consenso popolare; solo fumo negli occhi, esattamente come i proclami di voler investire, oggi, sulla crescita. La storia ricorderà perfettamente ciascuno di loro, tutti quelli che hanno consegnato le nostre chiavi di casa in mano di altri, dei grandi interessi, delle banche. La storia, allo stesso modo, ricorderà chi ha avuto il coraggio di alzare la testa e di non svendere le proprie comunità e il loro lavoro in cambio di qualche prebenda o di qualche garanzia sulle proprie posizioni di rendita. Tutti quelli che vi dicono che "ci vuole più Europa" per uscire dalla crisi pensa in realtà che l'Europa, quella vera, dei popoli, non se ne debba occupare.

In Italia stiamo costruendo l'alternativa a questo scenario di desolazione e di recessione; siamo un'avanguardia coraggiosa contro il mostro europeo che, oggi, ha solo imparato a mostrarsi con facce più mansuete e accattivanti rispetto al passato. Tutto inutile, i popoli iniziano a capire chi fa davvero i loro interessi e auspichiamo che, in questo senso, nasca davvero un coordinamento europeo nel quale, facendo fede alla propria storia, il popolo francese possa fare da "ariete" dando la prima, e decisiva, spallata. Le rêve européen est le nôtre. Réveillons-nous du cauchemar. Vive l'Europe des peuples et des nations !

Stipendi sindaci e consiglieri in Sicilia, Crocetta dice no ai tagli

L’assessore al Bilancio li vuole tagliare, il governatore invece è assolutamente contrario: in Sicilia gli stipendi di sindaci e consiglieri comunali non vanno toccati. Anche perché abbassando lo stipendio degli amministratori locali, i deputati regionali rischierebbero involontariamente di auto tagliarsi la busta paga: concetto che dalle parti dell’Assemblea regionale siciliana è tutt’altro che ben visto. Dopo le polemiche sull’applicazione del decreto Monti (che ha fissato in “appena” undici mila euro al mese lo stipendio dei novanta onorevoli regionali) le buste paga dei politici spaccano nuovamente il vertice governativo siciliano.


Da una parte c’è Alessandro Baccei, assessore al Bilancio e “subcommissario” inviato a Palermo da Graziano Delrio eMatteo Renzi per mettere a posto i conti della Regione Siciliana. Dall’altra c’è il presidente Rosario Crocetta, da sempre ottimista sullo stato di salute della situazione economica siciliana. “I soldi ci sono fino ad aprile” aveva però confessato Baccei alla prima uscita pubblica. Ed è proprio per questo che l’assessore ha inserito nella bozza di riforme da far varare all’Assemblea Regionale Siciliana anche una piccola nota, contenuta in un rigo. C’è scritto: “equiparazione dei costi della politica negli enti locali dell’Isola a quelli del resto d’Italia”. Una legge chiara e comprensibile, per rispondere ad una domanda che da Palazzo Chigi si pongono da un bel po': perché il consiglio comunale di Palermo deve costare un milione di euro in più (5 milioni e centomila euro in totale) ogni anno rispetto a quello di Milano, che ha una popolazione nettamente superiore? E perché i sindaci e i consiglieri dei comuni siciliani devono essere di più rispetto ai colleghi eletti nelle altre città italiane che hanno lo stesso numero di abitanti?

Tradotto: gli stipendi di sindaci e consiglieri non si toccano. Un’opinione largamente diffusa tra i banchi del Parlamento regionale. E non solo per spirito di solidarietà nei confronti dei colleghi sindaci e consiglieri. “I deputati sanno che il governo Renzi punta a equiparare gli stipendi dei consiglieri regionali a quelli dei sindaci del capoluogo della Regione: tagliando lo stipendio diLeoluca Orlando rischiano inavvertitamente di auto tagliarsi la loro busta paga” spiega Giancarlo Cancelleri, leader delMovimento 5 Stelle all’Ars. “Personalmente – continua il deputato del Movimento di Beppe Grillo – penso che lo stipendio dei deputati regionali vada tagliato ancora rispetto al tetto stabilito dal decreto Monti: i sindaci però li tutelerei. Lavorano molto più dei deputati, rischiano di più: Baccei e Crocetta dovrebbero tagliare gli stipendi ai deputati, abbassandoli almeno cinquemila euro al mese”.È proprio per sciogliere quell’interrogativo, e magari provare a risparmiare qualche euro nel disastrato bilancio regionale, che Baccei propone di cancellare 1.231 consiglieri comunali e 674 poltrone da assessore. In più l’esponente del governo regionale punta a un taglio dei gettoni di presenza degli amministratori locali. Ed è proprio lì che è scoppiata la polemica. A sconfessare l’assessore regionale è arrivato direttamente Rosario Crocetta. “Ho fatto il sindaco e so quali sono i loro sacrifici e i rischi che corrono. Rischi che derivano dal confronto quotidiano con le categorie più disagiate e dal controllo sugli atti amministrativi da parte della Corte dei conti. Il tutto a fronte di stipendi che spesso non superano quello di un operaio”ha detto il governatore, in un’intervista all’edizione locale di Repubblica.

Ipotesi improbabile, quella formulata da Cancelleri, dato che lo stesso Baccei ha parecchie difficoltà persino a tagliare i gettoni di presenza dei consiglieri comunali. Un anno fa, quando l’Ars era stata costretta a recepire il decreto Monti dopo dodici mesi di accese polemiche, il consiglio di presidenza del Parlamento regionale aveva ben pensato di correre in sostegno dei poveri deputati, costretti a guadagnare “solo” 11 mila euro al mese. In che modo? Varando un bonus da 1.160 euro in più al mese per ognuno degli undici capigruppo. Adesso Crocetta ha due opzioni: tirare dritto per la sua strada, ignorando le richieste di Baccei e del governo centrale, oppure varare una spending review senza quartiere, spaccando nuovamente la maggioranza.

Proprio per questo motivo il governatore ha convocato un vertice con i partiti che lo sostengono: nelle prossime ore a Palazzo d’Orleans sfileranno i rappresentanti dell’Udc e del Pd. “La salvezza dell’Italia è legata fortemente alle politiche di sviluppo della Sicilia e del Mezzogiorno. Ciò può avvenire se, insieme al consolidamento delle linee di cambiamento che stanno coinvolgendo la nostra Regione, ci sarà una nuova attenzione europea nei confronti delle politiche di sviluppo del Sud” ha detto il governatore. Una dichiarazione sobria per prendere tempo, in attesa di capire se tagliare o meno gli stipendi ai sindaci e ai consiglieri.

venerdì 23 gennaio 2015

“RENZI A CASA!”



MANIFESTAZIONE “RENZI A CASA!”

Mettiamo fine al disastroso Renzi! Nel pieno di una crisi economica e politica, dove l'economia muore e il terrorismo dilaga, il chiacchierone fiorentino pensa solo a leggi elettorali e a presidenti della repubblica, come se queste cose possano risollevare le sorti di un paese allo sfascio.

E' ora di dire basta, è ora di dire #Renziacasa, perché: 


#Renziacasa vuol dire basta euro
#Renziacasa vuol dire meno tasse
#Renziacasa vuol dire stop invasione
#Renziacasa vuol dire lotta vera al terrorismo
#Renziacasa vuol dire tornare a battersi per autonomia, federalismo e indipendenza


Ma per mandare a casa Renzi, dobbiamo andare a gridarglielo da vicino, in modo che la nostra richiesta di libertà faccia tremare i muri del potere e non possa rimanere inascoltata.

Per questo il 28 di febbraio io sarò in Piazza del Popolo a Roma, a gridare a pieni polmoni #renziacasa, e a proporre l'unica vera alternativa a questo governo delle tasse, schiavo dell'Europa e di Bruxelles.
Per questo sono convinto che non sarò da solo.

A breve vi daremo le informazioni necessarie su come raggiungere Roma, ma che sia in treno in pullman o in auto, l'importante fin da subito è non prendere impegni per quel giorno.


Il 28 febbraio faremo la Storia, non mancare!


Matteo Salvini

Venti minuti di terrore in treno Ragazza violentata e rapinata - Grazie ai Buonisti

Clandestino con precedenti per reati sessuali tradito dall’Iphone che si era fatto consegnare dalla sua vittima, una 22enne di Bergamo: la polizia lo ha arrestato.


Quando gli uomini della Squadra mobile di Bergamo lo hanno bloccato in stazione, mercoledì sera, nascosto nei pantaloni aveva uno dei coltelli da cucina che aveva puntato contro la sua vittima, una ragazza di 22 anni residente in città. Era il 12 dicembre, sul treno regionale per Milano Porta Garibaldi, ore 21. La ragazza era su un vagone vuoto. Modou Niang Ndir, 32 anni, senegalese clandestino con una sfilza di alias e con precedenti per violenza sessuale e per reati contro il patrimonio, una sfilza di alias, le si siede accanto. E l’incubo ha inizio.



Modou Niang Ndir, 32 anni

Intuite le intenzioni, la giovane fa per alzarsi, ma il nordafricano, un metro e 85, la blocca mostrandole uno zaino pieno di coltelli. Le mette le mani ovunque, la costringe a baciarlo. Lei piange, lo supplica di lasciarla andare, ma la tortura prosegue per 20 interminabili minuti, alla fine dei quali l’uomo si fa consegnare l’Iphone 6 che le ha visto nella borsa. Il giorno successivo, il 13 dicembre, la ventenne si presenta alla polizia per denunciare l’accaduto e la Procura di Monza, competente per territorio, dispone subito l’analisi del tabulato telefonico. Nello smartphone il senegalese aveva lasciato la Sim della ragazza. Si scopre così, da una telefonata fatta cinque minuti dopo la rapina, che lo ha venduto per 300 euro a un marocchino, regolare, di professione muratore e venditore ambulante al mercatino dell’usato di Cormano. Sentito dagli investigatori, spiega di aver conosciuto il senegalese proprio al mercatino, di non sapere indicare il suo nome, ma che in rubrica si era registrato i numeri dai quali lo aveva contattato in passato. Attraverso le utenze telefoniche, gli agenti risalgono a Ndir, nullafacente e con domicilio a Merate. Sia il marocchino sia la vittima lo riconoscono in una fotografia.

Mercoledì, alle 21, è stato rintracciato nella zona della stazione ferroviaria di Bergamo proprio mentre stava per prendere il treno. Controllato, aveva tra i pantaloni un coltello da cucina a lama liscia e una bomboletta al peperoncino non a norma di legge. A casa gli sono stati sequestrati altri cinque coltelli simili. Dopo le formalità di rito, considerati i gravi indizi di colpevolezza e la sussistenza del pericolo di fuga (in un’intercettazione diceva di voler partire per la Francia), il senegalese è stato fermato. La Procura di Bergamo ha disposto il trasferimento in carcere in attesa della convalida.
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mercoledì 21 gennaio 2015

Salvini: "Se mi rapiscono non date una lira"

Il segretario della Lega Nord a Mattino 5: "I terroristi vanno bombardati, non pagate"
"Se dovessero rapirmi, non pagate una lira". Sul punto Matteo Salvini, ospite di Mattino 5, è stato molto chiaro.




"Se pagate qualcosa per me mettete a rischio la salute di migliaia di italiani che sono in giro per il mondo per lavoro e rischiano di diventare il bancomat dei terroristi", ha detto il segretario della Lega Nord dopo le polemiche sorte sul presunto riscatto pagato per liberareGreta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti italiane rapite in Siria. "La mia posizione – conclude Salvini – è quella di non dare una lira, di non pagare questa gente. I terroristi vanno combattuti, vanno bombardati non finanziati".

martedì 20 gennaio 2015

Salvini: «L’Italia fa schifo, hanno fottuto un diritto sacrosanto. «Inammissibile referendum sulla legge Fornero»

L’ira del leader del Carroccio Salvini: «L’Italia fa schifo, hanno fottuto un diritto sacrosanto. Tra i giudici della Corte anche Giuliano Amato, non lo voteremo mai come presidente della Repubblica». 



No dei giudici costituzionali alla ammissibilità del referendum sulla legge Fornero, proposto dalla Lega Nord, di riforma delle pensioni. Ira Matteo Salvini: i giudici della Corte Costituzionale hanno «fottuto un diritto sacrosanto», ha detto il leader del Carroccio a Radio Padania. « La Consulta, con un atto gravissimo, ha stabilito la fine per la gente, per il popolo, di esprimersi su un referendum per l’abrogazione della riforma Fornero, una decisione fuori da ogni precedente. È una infamata nei confronti di milioni di italiani che non arrivano a fine mese. Altro che legge elettorale... Prendiamo atto che l’Italia è uno Stato di m... Sono deluso e arrabbiato e ho le balle che mi girano a mille. Questa Italia mi fa schifo e mi batterò per ribaltarla».

Salvini: «Bocciatura per non disturbare Renzi»
Il segretario della Lega Salvini, intervenendo a «L’aria che tira» su La 7, ha poi messo nel mirino il presidente del Consiglio, Matteo Renzi: «Oggi Renzi è il solo a festeggiare. Questa bocciatura della Consulta è una scelta politica per non disturbare Renzi e il Pd - ha affermato - Evidentemente a lui non interessano esodati, cassintegrati e operai. Hanno detto che questo referendum è incostituzionale, ma il costituzionalista che abbiamo interpellato noi per scrivere il testo della proposta ha detto esattamente il contrario, quindi si tratta di una scelta meramente politica. E adesso Renzi e Berlusconi si incontrano per parlare di legge elettorale...ma cosa volete che gliene freghi agli italiani della legge elettorale? Giuliano Amato, che è uno dei giudici della Consulta che ha bocciato il nostro referendum, è perfino papabile al Quirinale. Non lo voteremo mai».

lunedì 19 gennaio 2015

Matteo Salvini da Fabio Fazio a "Che tempo che fa": "Greta e Vanessa? Io non avrei pagato il riscatto. Via le prostitute dalle strade"

"Sono soddisfatto. Penso si essere riuscito a parlare chiaro". A botta calda, appena finita la sua intervista a Che tempo che fa su Raitre, Matteo Salvini esulta su Facebook e raccoglie l'ovazione della sua torcidaleghista. "Vai capitano, l'hai asfaltato!", scrivono in tanti. L'asfaltato sarebbe Fabio Fazio, il padrone di casa che non gode di molte simpatie presso il popolo (e i telespettatori) di centrodestra. Nella tana del nemico il segretario del Carroccio entra col sorriso. Sempre su Facebook Salvini prima di andare in onda regala anche una chicca: "Chiacchierata prima della trasmissione con Fazio. Che dire... Su alcune cose pare che siamo anche d'accordo!". Su Twitter, poi, il martellamento è stato costante e "in tempo reale".



Il caso Greta e Vanessa - Poi però, a telecamere accese, inizia la bagarre. Il piatto forte naturalmente è la liberazione delle due cooperanti lombardeGreta Ramelli e Vanessa Marzullo, rapite in Siria lo scorso luglio. "Ho rispetto per chi fa volontariato, ma sarebbe meglio non farlo nelle zone di guerra o pericolose - spiega Salvini incalzato da Fazio -. La prossima volta, sarebbe meglio se facessero volontariato un po' più vicino". Sul presunto riscatto pagato ai jihadisti sequestratori, il leghista è categorico: "Io non pago il riscatto a nessuno. Se dovesse capitare a me, non pago perché metto a rischio altre centinaia di lavoratori. Fossi stato in Renzi, non avrei pagato, avrei provato a portarle a casa in altra maniera". Il botta e risposta si sposta rapidamente sul tema Islam: "Nel nome dell'Islam troppi ritengono il resto del mondo inferiore, da sottomettere - spiega Salvini -. Quando arrivi a casa mia e mi dici che non ti fai curare da un medico donna, io ti rispondo allora torna da dove sei venuto". "L'Islam interpretato in maniera fanatica è un problema, non è una religione come le altre", puntualizza ancora il segretario ed eurodeputato leghista che propone poi di "controllare chi finanzia moschee e luoghi di culto islamici, ad esempio se è l'Arabia Saudita".

"Via le prostitute dalle strade" - Fazio chiede conto anche delle posizioni etico-sociali della Lega su prostituzione e nozze gay. "Non do giudizi morali, ma la prostituzione c'è e va regolamentata, togliendola dalle strade", prosegue Salvini, che sulla questione dei diritti agli omosessuali è netto: "Non scimmiottiamo matrimoni, un bambino ha bisogno di una mamma e di un papà". Fazio prova a incastrarlo virando sui suoi apprezzamenti per Putin, non un esempio di liberalità: "Putin sui diritti umani ha i suoi limiti, ci mancherebbe altro. Io sono perché lo stato non entri nella camera da letto. Ognuno deve vivere la propria sessualità con chi vuole e come vuole, ma ritengo che la società abbia bisogno di un nucleo fondante e che un bambino adottato va dove c'è una mamma e un papà". Di sicuro, però, "tra Renzi e Putin scelgo Putin con tutti i suoi limiti".
"Io più di sinistra di Renzi" - Al pubblico di Fazio strappa più di qualche applauso, stupendo i prevenuti. "Fossimo per conto nostro, senza la gabbia di matti europea, staremmo meglio", dice, o ancora "Non trovo posti al mondo dove si viva meglio che in Italia, ma ci stan togliendo voglia di vivere, tanti emigrano" e "L'Italia può stare insieme se valorizza le sue bellezze e le sue diversità, da Nord a Sud", Salvini di sinistra? "Io sicuramente sono più a sinistra di Renzi. Ci vuole poco, lo so, ma io conosco tanti operai, tante fabbriche. Lui conosce, probabilmente, più banchieri". Fazio incassa, i leghisti davanti al televisore festeggiano come se fossero allo stadio.



Pericolo degli isolati votati alla Jihad Caccia ai combattenti dalla Siria







Giulia Maria Sergio(Daniele Bennati)
Giulia Maria Sergio(Daniele Bennati)
Gli attentati di Parigi hanno rafforzato una convinzione negli investigatori del pool anti terrorismo: il rischio più alto riguarda gli ex combattenti rientrati dalla Siria e addestrati da al Qaeda e Isis nei campi di Yemen e Libia. Esattamente come i fratelli Kouachi, gli attentatori di Charlie Hebdo. O come alcuni dei 48 «foreign fighters», combattenti stranieri, partiti verso la Siria per attaccare il regime di Assad e indicati nei giorni scorsi dal ministro dell’Interno Angelino Alfano. O ancora come il caso di Giulia Maria Sergio, la 27enne di Inzago convertita all’Islam radicale e partita verso la Siria.squadre antiterrorismo di Digos e Ros. Il secondo riguarda un’altra donna, stavolta di origini straniere, anche lei partita da Milano verso i campi di addestramento. Il terzo, e più corposo, filone ruota intorno alla figura di Haisam Sakhanh, sospettato di guidare un «gruppo» che reclutava combattenti per la Siria e attivo tra Milano e Cologno Monzese . Il reato ipotizzato è il 270 bis del Codice penale che punisce, appunto, il reclutamento di combattenti. «Al momento, parlare dell’esistenza di vere “cellule” è prematuro - spiegano gli inquirenti milanesi -. Non tutti coloro che sono andati a combattere in Siria lo hanno fatto attraverso “reclutatori”». In diversi casi, infatti, gli investigatori hanno scoperto «soldati» partiti in modo autonomo dopo aver preso contatti attraverso Internet.
Il suo è uno dei tre fascicoli aperti in Procura e affidati alle indagini delle squadre
Il secondo obiettivo delle indagini è quello di monitorare il ritorno dei «foreign fighters». «Gli ultimi attentati in Europa dimostrano che chi ha avuto un addestramento militare in un campo terroristico rappresenta un’effettiva minaccia una volta rientrato dal Medio Oriente». Non è un meccanismo automatico, però. «In molti casi chi è tornato non ha abbracciato teorie estremiste. Il fronte della resistenza ad Assad è molto composito. La gran parte dei combattenti è ispirata da principi laici. E questi gruppi sono contrapposti anche all’Isis». Gli investigatori devono quindi verificare eventuali legami tra i fondamentalisti e l’effettivo rischio di una minaccia.
I due «espulsi» milanesi, un egiziano e un marocchino, sono invece vecchie conoscenze del pool guidato da Maurizio Romanelli. «Si tratta di individui che hanno espresso posizioni fondamentaliste e che da lungo tempo sono monitorati dalle forze dell’ordine. Nei loro confronti non sono emersi reati, ma soltanto una condivisione della Jihad, espressa magari attraverso i siti web radicali». 

La legge prevede che possano essere considerati come persone «non gradite» al nostro Paese: «Sono una minaccia “latente”, perché possono essere facilmente istruiti e manipolati per eseguire attentati qualora dovessero entrare in contatto con una cellula terroristica». 


venerdì 16 gennaio 2015

Salvini: “Se il governo ha pagato riscatto è uno schifo”

Se veramente per liberare le due amiche dei siriani il governo avesse pagato un riscatto di 12 milioni, sarebbe uno schifo!”. Sono durissime le parole con le quali il segretario della Lega NordMatteo Salvini commenta la liberazione di Greta Ramelli eVanessa Marzullo, le due cooperanti rapite vicino ad Aleppo a fine luglio 2014 e detenute dal fronte Al Nusra, jihadisti vicini adAl Qaeda che operano in Siria e Libano. La cifra di cui parla il leader del Carroccio è quella diffusa dall’account Twitter@ekhateb88, ritenuto vicino ai ribelli anti-Assad

giovedì 15 gennaio 2015

Il nuovo che avanza (Capitolo 2) Azienda di famiglia Renzi, Regione Toscana: “Regolamento su iter finanziamenti violato”

“Quando ho detto che i debiti contratti dall’azienda di famiglia di Renzi erano stati ripianati dal governo Renzi, davo per scontato che almeno l’iter di concessione fosse stato corretto. Invece emerge che non è così”. Giovanni Donzelli, capogruppo FdI nel consiglio regionale della Toscana, parla della ‘Chil’ - l’azienda di famiglia del premierMatteo Renzi – che attualmente ha cambiato nome. Pochi giorni fa, fuori dalla sede di Fidi Toscana, la finanziaria regionale che avrebbe reso possibile un prestito alla Chil di circa 400 mila euro, Donzelli aveva spiegato: “I debiti dell’azienda della famiglia Renzi sono stati pagati dal governo Renzi, con i soldi dei cittadini”. Così il capogruppo FdI nel consiglio regionale della Toscana,Giovanni Donzelli, denuncia i trascorsi economici della “Chil” – l’azienda di famiglia del premier Matteo Renzi che attualmente ha cambiato nome – fuori dalla sede di Fidi Toscana, la finanziaria regionale che avrebbe reso possibile un prestito di circa400mila euro. “Dopo la scissione del ramo aziendale, il finanziamento è stato lasciato alla ‘bad company’ che è andata in fallimento – spiega Donzelli – con questo fallimento i soldi ce li ha rimessi Fidi, ma Fidi aveva una controgaranzia: quindi l’erogatore finale è stato il governo Renzi tramite il Fondo di garanzia nazionale“. Il consigliere, infine, conclude: “Quando è stato chiesto il finanziamento Renzi era presidente della Provincia – che è socia di Fidi – quando il finanziamento è stato erogato era sindaco di Firenze – socio di Fidi – e la controgaranzia viene erogata quando Renzi èpresidente del Consiglio“. Poi chiosa: “Renzi dica qualcosa, dovrebbe renderli questi soldi” Oggi la questione passa dal piano politico a quello del rispetto delle norme. L’assessore regionale alle attività produttive, Gianfranco Simoncini (Pd), rispondendo ad un’interrogazione sulla ‘Chil’, afferma: “Fidi Toscana avrebbe dovuto essere informata della cessione del ramo di azienda, infatti il regolamento prevede che la banca finanziatrice ha l’obbligo di comunicare le informazioni in suo possesso. Tali informazioni non sono state comunicate”. La banca è la Bcc di Pontassieve, attualmente presieduta da Matteo Spanò, amico e sostenitore del premier. Poi l’assessore aggiunge: “Nel caso in cui le verifiche effettuate sulle imprese risultino non rispettate dal regolamento, l’impresa è tenuta a corrispondere un importo pari a due volte l’agevolazione ricevuta”. Il governatore della Toscana, Enrico Rossi (Pd), interrogato sulla questione, risponde: “Se ci sarà da prendere azioni e provvedimenti lo faremo, senza scadere nella strumentalizzazione politica che mi sembra piuttosto ampia su questa vicenda”  di Max Brod

Ecco il nuovo che avanza (Capitolo 1) - Matteo Renzi: assunto, candidato e pensionato in undici giorni

Renzi e' stato assunto dall'azienda di famiglia, la Chil srl, il 27 ottobre 2003, otto mesi prima dell'elezione in Provincia e undici giorni prima che l'Ulivo lo candidasse. E così, da nove anni, i contributi per la sua pensione da dirigente li paga la collettività.

Matteo Renzi è stato assunto come dirigente dalla società di famiglia, la Chil Srl, undici giorni prima che l’Ulivo lo candidasse a presidente della Provincia di Firenze nel 2004
IL COMUNE di Firenze e prima la Provincia, hanno versato alla società di famiglia i contributi previdenziali per Matteo Renzi, nel rispetto del Testo Unico Enti locali che prevede il rimborso dei contributi alla società presso la quale lavora l’amministratore pubblico collocato in aspettativa non retribuita. Quando l’assunzione è molto vicina alla candidatura però sorge il dubbio che sia motivata più dall’ottenimento del rimborso dei contributi che dalla reale necessità dell’azienda di disporre di un dirigente distratto dalla politica. Nicola Zingaretti a Roma è finito nell’occhio del ciclone perché è stato assunto da un Comitato legato al Pd il giorno prima dell’annuncio della sua candidatura a presidente della Provincia. Ora si scopre che Renzi è stato assunto – non uno ma undici giorni prima dell’annuncio della sua candidatura – dalla società della sua famiglia. Il sindaco è inquadrato dal 27 ottobre 2003 nella Eventi 6 che oggi è intestata alle sorelle Matilde e Benedetta Renzi (36 per cento a testa), alla mamma Laura Bovoli (8 per cento) e al fratello del cognato, Alessandro Conticini, 20 per cento. Come spiega il vice-sindaco Saccardi nella sua risposta all’interrogazione: “Renzi ha avuto un contratto di collaborazione coordinata e continuativa fino al 24 ottobre 2003 presso la Chil srl. Dal 27 ottobre 2003 è stato inquadrato come dirigente”. Ecco la cronologia degli eventi di nove anni fa, ricostruita sulla base dei documenti camerali: il 17 ottobre 2003 il “libero professionista” Matteo Renzi e la sorella Benedetta cedono le quote della Chil Srl ai genitori; il 27 ottobre 2003, dieci giorni dopo avere ceduto il suo 40 per cento, Renzi diventa dirigente della stessa Chil Srl, amministrata dalla mamma; il 7 novembre 2003, solo 11 giorni dopo l’assunzione, l’Ulivo comunica ufficialmente la candidatura del dirigente alla Provincia; il 13 giugno 2004 Renzi viene eletto presidente e di lì a poco la Chil gli concede l’aspettativa. Da allora Provincia e Comune versano alla società di famiglia una somma pari al rimborso dei suoi contributi. Se Renzi non avesse ceduto le sue quote nel 2004, sarebbe stata una società a lui intestata per il 40 per cento a incassare il rimborso: una situazione ancora più imbarazzante di quella attuale, con le quote intestate a sorelle e mamma.

LA CHIL è una società fondata da papà Tiziano che si occupa di distribuzione di giornali e di campagne pubblicitarie. Dal 1999 al 2004 è intestata a Matteo e alla sorella. Poi, come visto, subentrano i genitori. Nel 2006 Tizia-no Renzi vende il suo 50 per cento alle figlie Matilde e Benedetta. Chil arriva a fatturare 7 milioni di euro nel 2007. Poi cambia nome in Chil Post Srl e nell’ottobre del 2010 cede il suo ramo d’azienda a un’altra società creata dalla famiglia: la Eventi 6 Srl. La vecchia Chil, ormai svuotata, finisce a un imprenditore genovese e fallisce. Mentre la Eventi 6 decolla dai 2,7 milioni di fatturato del 2009 ai 4 milioni di euro del 2011. Dopo il suo collocamento in aspettativa, il dirigente Matteo Renzi segue il destino del ramo d’azienda e oggi è collocato nella Eventi 6, di Rignano sull’Arno, sede storica della famiglia.

Per anni Renzi è stato socio e lavoratore parasubordinato dell’azienda di famiglia, la Chil srl. Forse perché il co.co.co ha una contribuzione Inps bassa, non ha fondi previdenziali aggiuntivi e non matura Tfr.
Il 27 ottobre del 2003, però, due giorni prima dell’annuncio della sua candidatura da parte della Margherita a presidente della Provincia, viene assunto come dirigente. La Chil gli paga i contributi sino all’elezione del giugno del 2004. Quindi tocca alla Provincia versargli le «marchette», parametrate sullo stipendio da dirigente e non su quello da precario. Versamenti per i fondi compresi. per esempio, che nel periodo compreso tra l’1 aprile e il 21 giugno del 2009 (fine del mandato) vengono versati per Renzi 2893,94 euro per il fondo di previdenza per dirigenti «Mario Negri», 906,61 per il Fondo assistenza sanitaria e 1185,27 euro a titolo di contributo per l’associazione «Antonio Pastore», altra ’assicurazione contrattuale. Terminato l’incarico in Provincia Renzi torna al lavoro dal 22 al 24 giugno 2009, periodo in cui usufruisce di tre giorni di ferie, quindi ripiomba in campagna elettorale.


I rimborsi versati sino a quel momento per il Tfr alla Chil da Provincia (quasi 19 mila euro) e Comune (15 mila euro): in tutto circa 34 mila euro dal 2006 al 2013 con un picco di 5112 euro per l’anno scorso. Siccardi deve anche ammettere che «se al momento dell’assegnazione della carica fosse stato occupato con un rapporto di co.co.co il dottor Matteo Renzi non avrebbe avuto diritto ai contributi figurativi». «Sembra proprio che finché i contributi del "dipendente" Renzi li pagava l’azienda del padre, il premier aveva un contratto super-economico, mentre non appena il peso dei suoi contributi è passato sulle spalle dei cittadini, in famiglia hanno deciso di garantirgli una ricca pensione».

martedì 13 gennaio 2015

Fatima convertita all’odio da una rete segreta di sostenitori e finanziatori

Inchiesta sui contatti della guerrigliera italiana