«Vengono da
Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Benin o Burkina. Tutti paesi normali, in
forte crescita economica. Ma dal Congo, dove c’è la guerra, non vediamo
nessuno»
di Beppe Fumagalli
E' scesa in Italia a trovare vecchi amici.
Indica il quotidiano che ho lasciato sul sedile, aperto sull’ennesima strage
d’immigrati. Io allargo le braccia. Lei scuote la testa. Io dico: «Tragedia».
Lei aggiunge: «È un Grand Guignol. Un inutile orrore che forse fa comodo a
qualcuno». La guardo sorpreso: «Ma sì,», dice, «la gente dall’Africa potrebbe
benissimo arrivare per via normale, il problema è che se chiedi un visto non te
lo danno. Un po’ come la banca che ti nega il credito e sottobanco ti passa il
nome di un usuraio. Se vuoi andartene sai che devi metterti nelle mani dei
trafficanti. Evidentemente va bene così. Perché l’orrore scuote le coscienze. E
davanti al dramma non si va per il sottile».
In Italia Amivi ha incontrato molti fratelli, come lei chiama gli altri
africani. «Sono qui da
mesi», racconta, «e non fanno niente in attesa di uno status da rifugiati. Ma
quali rifugiati? Vengono da Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria, Benin o Burkina.
Paesi normali, in forte crescita economica. Se glielo fai notare ridono. Ma poi
ti snocciolano la lezioncina, con le loro vite minacciate dai jihadisti, Boko
Haram per i nigeriani, Aqmi (Al Quaeda nel Maghreb, ndr) per gli altri.
Peccato sia tutta gente lontana migliaia di chilometri dalle zone calde. Come
se un italiano chiedesse asilo politico in Canada per l’attacco alla redazione
di Charlie Hebdo».
Amivi mostra un articolo della rivista Jeune Afrique in cui si parla della guerra nella Repubblica
Democratica del Congo. «La gente di lì », spiega, «avrebbe tutto il diritto di
scappare. Ma qui di loro non c’è n’è uno. È tutto molto strano. I bianchi che
hanno sempre rimproverato agli africani un approccio poco logico alla realtà,
impantanati in quest’assurdità? No, non ci credo. Gratta gratta, una logica ci
sarà. Sarà la solita. Quella del danaro». Io mi tacqui. Ma dal profondo
sgorgommi una voce: «Fuochino, fuochino».
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