giovedì 11 giugno 2015

Milano, la stazione sembra un campo profughi: notti sui cartoni e casi di malaria


L’ultimo angolo trasformato in dormitorio è una «gabbia». Una grata davanti, una dietro, a chiudere uno spazio tra le colonne di quella che ancora si chiama Galleria delle Carrozze: l’ingresso alla stazione Centrale a Milano. Restano una mutanda da uomo rossa infilata tra le «sbarre», una traccia di cartoni a terra, una lattina di coca-cola, una chiazza di liquido indefinibile, un sacchetto annodato di plastica azzurra, pieno. 

«Ne ho contati 88 che dormivano qui fuori - racconta Giorgio Ciconali -, poi la polizia è passata a svegliarli. In 126 erano stesi nel mezzanino», che già da giorni era stipato di uomini soprattutto, ma anche donne, e persino bambini. «Altri ancora vagolavano tra l’atrio e il primo piano». Erano le otto del mattino, la stazione cominciava ad affollarsi di pendolari, il direttore del Servizio igiene della Asl, Ciconali, era venuto a fare un sopralluogo. Per trovare conferma a quello che aveva già intuito: son troppi, denutriti, stanchi e a volte anche malati. Hanno bisogno di cura.



«Situazione insostenibile»

«Che fame!», esclama una volontaria, distribuendo biscotti. Due bimbette li masticano mogie, in mezzo a tante giovani donne e altrettanti ragazzi. Un gruppetto di adolescenti alle tre del pomeriggio tenta ancora di dormire sulle panchine, in un via vai di operatori sociali, agenti della polfer, fotografi, passeggeri comuni, che sbucano dalle scale mobili coi trolley sul piano ammezzato, guardandosi attorno stupiti. Da un lato e dall’altro, vagamente separata dalle transenne, c’è una folla di siriani, qualche famiglia di recente fuggita da Homs, ma soprattutto di eritrei, la grande maggioranza, che s’arrangiano tra la Centrale e Porta Venezia, in attesa di ripartire. Su una parete qualcuno ha appeso l’immagine di una madonna ortodossa. 
Ferrovie e Grandi stazioni ormai non nascondono il disagio e fanno sapere di aver proposto soluzioni, di avere dei «tavoli» aperti con il Comune e la prefettura. L’assessore regionale alla Sanità, Mario Mantovani, vice del governatore Roberto Maroni che ha minacciato di «tagliare i fondi» ai Comuni che accolgono profughi, arriva in stazione nel pomeriggio con tutt’altro tono annunciando, «da subito, un presidio sanitario permanente», che finora mancava: «Siamo in una situazione che non riusciamo più né a controllare né a sostenere». Il caldo, il sovraffollamento, le condizioni precarie, si scopre che dal primo giugno si sono contati 108 casi di scabbia. «Stamattina abbiamo riscontrato anche casi di malaria», continua Mantovani. E quello che non dice è che si è avuto il timore che fosse ebola. 
Il presidente della Fondazione Progetto Arca, Alberto Sinigallia, che si è accollato l’ingrato compito di gestire questi spazi, racconta che l’altra notte, all’una, un ragazzo ha avuto una crisi epilettica; la notte prima ancora è stata una bambina ad aver avuto bisogno dell’ambulanza. Nei suoi calcoli il numero dei migranti che hanno dormito qui, tra martedì e ieri, è addirittura 350. Una cifra enorme, da campo profughi, non da stazione ferroviaria.

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