mercoledì 18 aprile 2012

La Lega non è una storia finita

C'E' TROPPA fretta di liquidare la Lega. Come si trattasse di una storia finita. Non tanto a causa delle promesse deluse dalla Lega stessa. Di certo non per merito degli avversari politici. Tanto meno per l'intolleranza sociale verso i messaggi intolleranti espressi dai suoi leader e dai suoi uomini. Ma per effetto delle inchieste giudiziarie. Una nemesi, visto che vent'anni prima proprio la Lega  -  insieme a Berlusconi  -  aveva beneficiato del vuoto politico prodotto da Tangentopoli. 

Ma bisogna fare molta attenzione prima di dare la Lega per finita. I sondaggi, per primi, non accreditano questa idea. L'Ispo di Renato Mannheimer, proprio ieri, sul Corriere della Sera, stimava i consensi leghisti poco sotto il 7%. Rispetto a una settimana prima: un punto percentuale in meno. Abbastanza, ma non tanto da profetizzare un declino  -  rapido e irreversibile. Meglio, dunque, attendere altre occasioni per verificare la tenuta della Lega, dopo questi scandali. Senza, però, affidarsi troppo alle prossime amministrative. Certamente significative. Ma condizionate dalla specificità delle consultazioni. Una sorta di presidenziali "locali", dove contano soprattutto i temi territoriali e, anzitutto, la personalità dei sindaci. Si pensi alla città, forse, più importante, fra quelle al voto: Verona. Dove Flavio Tosi si ripresenta, alla testa di una lista civica "personale". Contro la volontà di Bossi e dei "bossiani". Se Tosi ri-vincesse cosa non improbabile, si tratterebbe di una vittoria di Tosi (e del suo amico Maroni) contro Bossi oppure di un successo della Lega contro tutti gli altri partiti? 

Il risultato delle prossime amministrative assumerà, dunque, grande importanza. Ma non fornirà un verdetto definitivo e, soprattutto, chiaro sul futuro. Occorrerà attendere le elezioni politiche del 2013 per capire quanto contino davvero la Lega  -  e gli altri partiti. 

Tornando ai sondaggi, anche l'Ipsos di Pagnoncelli, martedì scorso, a Ballarò, aveva mostrato una flessione della Lega: dal 9,5% al 6,5%. Ma nei giorni seguenti ha rilevato una ripresa sensibile. Che ha riportato la Lega su livelli vicini al risultato delle politiche del 2008. 

Questo rimbalzo può avere spiegazioni diverse e non alternative. In primo luogo, il "rituale di espiazione" celebrato a Bergamo martedì scorso. La messa in scena della "confessione" e della "penitenza". L'espulsione e le dimissioni dei colpevoli. (Solo alcuni, certo). L'ammissione di colpa del gruppo dirigente. Bossi per primo. (Che pure ha rilanciato la famigerata "teoria del complotto"). Di fronte al "popolo padano". E, soprattutto, alle telecamere. Uno spettacolo di successo, che è servito ai leader della Lega per marcare la propria "diversità"  -  anche in mezzo alla crisi  -  rispetto agli altri partiti maggiori. Tutti coinvolti da scandali e inchieste: non hanno preso provvedimenti altrettanto eclatanti e visibili. 

Lo stesso discorso vale per i rimborsi elettorali. La Lega ha annunciato la volontà di rinunciare all'ultima tranche. Mentre gli altri partiti discutono "se" congelarla. E su come regolamentare i finanziamenti pubblici (bocciati dai cittadini in un referendum di quasi vent'anni fa). La Lega ha, dunque, reagito all'ondata di discredito provocata dalle inchieste giudiziarie con iniziative auto-assolutorie e promozionali, che potrebbero avere effetto. Anche perché può contare su alcune "buone ragioni" per resistere sulla scena politica ed elettorale ancora a lungo. Ne cito solamente alcune.

a) È radicata sul territorio, dove dispone di una base di militanti attivi molto ampia. Riprendo i dati offerti da un'accurata ricerca di Gianluca Passarelli e Dario Tuorto (Lega e Padania, in uscita per "il Mulino"): 1.441 sezioni (995 tra Lombardia e Veneto) e 182mila iscritti. Oltre la metà di essi frequenta esponenti del partito con assiduità, almeno una volta a settimana. Il 40% partecipa regolarmente alle manifestazioni elettorali e alle feste di partito. Sono politicamente informati e coinvolti. La Lega, inoltre, è al governo in centinaia di comuni, 16 province e due regioni. Difficile "scomparire" quando si è così immersi nella società e nel territorio.

b) Dispone di una base elettorale fedele di notevole entità. Il 4-5% degli elettori, infatti, l'hanno sempre votata. Anche nei momenti più difficili. Disposti a negare la realtà pur di non contraddire la propria "fede". Proprio come in questa fase. 

c) La Lega, oggi, costituisce il principale antagonista del governo Monti, in Parlamento. Inevitabile che sfrutti la propria rendita di (op)posizione. Tanto più se  -  come sta avvenendo in questo periodo  -  la fiducia nel governo, fra i cittadini, tende a calare. 

d) Il clima d'opinione generale è intriso di sfiducia verso i partiti. Pervaso da un diffuso sentimento antipolitico. E la Lega ne è, paradossalmente, artefice e beneficiaria. Alimenta la sfiducia politica attraverso i suoi comportamenti e, al tempo stesso, rischia di avvantaggiarsene.

e) D'altronde, nessuno tra i partiti maggiori ha beneficiato del calo della Lega. Gli elettori leghisti in "uscita" si sono parcheggiati nell'area grigia del "non voto" e dell'indecisione. L'unico vero attore politico che sta traendo profitto dall'onda antipolitica, in questo momento, pare il movimento 5 Stelle di Grillo, stimato ormai oltre il 6%.

Naturalmente, la Lega non sta bene. È scossa da molti problemi. Profondi. Che, tuttavia, pre-esistono agli scandali delle ultime settimane. In particolare e soprattutto: non ha mantenuto la promessa di "rappresentare il Nord". Di realizzare il federalismo, modernizzare le istituzioni, ridurre la burocrazia centrale e locale, ridimensionare la pressione fiscale, abbassare i costi della politica. In parte, è stata coinvolta in queste stesse logiche. Inoltre, è, da tempo, teatro di una sanguinosa "guerra di successione". In vista di una leadership che le permetta di sopravvivere "dopo" e "oltre" Bossi. Una questione momentaneamente congelata. Ma destinata a riaprirsi in fretta, con esiti incerti. Anche perché il "centralismo carismatico" è parte dell'identità e dell'organizzazione leghista (come chiarisce bene il saggio dell'antropologo Marco Aime, Verdi tribù del Nord, pubblicato da poco da Laterza).

In generale, il problema della Lega è che si è "normalizzata". Mentre i suoi successi scandiscono le crisi e le fratture della nostra storia recente. La Lega. Ha contribuito a far crollare la Prima Repubblica e ha lanciato la sfida secessionista del 1996. Ha sfruttato le paure della crisi globale dopo il 2008 e l'onda antipolitica degli ultimi anni. La Lega. È cresciuta e si è consolidata nella stagione del berlusconismo. Ma oggi la Prima Repubblica è lontana, il berlusconismo si è chiuso. E la Lega appare un partito (fin troppo) "normale". Costretta, a simulare e a esibire la propria diversità per resistere, in questa Repubblica provvisoria. È in difficoltà. Ma chi pensa di affidare ai Magistrati il compito di "sconfiggerla" politicamente si illude.

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