mercoledì 30 maggio 2012

Maroni: con Bossi c'è un patto via alla terza fase, si alleanze.


Lo studio di Roberto Maroni è tappezzato di sue foto con Bossi. Il fondatore è raffigurato nelle diverse età, dall'ascesa alla malattia. «Ricordo il primo comizio insieme, in un albergo di Como. Era il marzo 1980. Sul palco eravamo in tre: Umberto, io e Bruno Salvadori dell'Union Valdotaine, che finanziava il nostro movimento, la Lega autonomista lombarda. In platea erano in quattro: due della Digos, un impiegato dell'albergo incuriosito, e un tipo che faceva sì con la testa. Umberto lo puntò: ecco il primo seguace, pensava. Invece era un picchiatore fascista. A fine comizio, appena Umberto lo avvicinò, quello gli tirò un pugno...».

Maroni, pensa davvero che Bossi non sapesse come i figli spendevano il denaro della Lega?
«Il Bossi che ho conosciuto io ha sempre disprezzato il denaro».
Tosi è arrivato a ipotizzare Bossi fuori dalla Lega.
«Non è un problema che riguarda Tosi. Aspettiamo l'azione dei magistrati. Vediamo se e quando accerteranno che ci sono stati reati e responsabilità penali».
Se Bossi volesse fare il presidente?
«Perché no?».
E se emergessero responsabilità penali?
«Il congresso è tra un mese. Non credo che in questo mese avremo novità dall'inchiesta. Adesso il nostro problema è un altro: riprendere a fare politica».
Fare politica significa contestare Monti?
«I 500 che hanno contestato Monti non erano tutti militanti leghisti. Erano cittadini del Nord stanchi di pagare troppe imposte. La nostra sezione di Bergamo ha noleggiato l'aereo, per aggiornare l'antico slogan: al posto di "basta Roma basta tasse", "basta Monti basta tasse". Sa perché la Lega non morirà?».
Perché?
«Perché la questione settentrionale è lì. Intatta. Ed è innanzitutto una questione fiscale. La legge sull'Imu deve cambiare. E ci vuole una manovra-choc sul fisco. Sono d'accordo con la proposta di Luca Ricolfi: abbattiamo del 15% il carico sulle piccole e medie imprese».
E il bilancio pubblico? Gli impegni con l'Europa?
«Dobbiamo negoziare con l'Europa un percorso più graduale per arrivare al pareggio di bilancio. Oggi la priorità è dare ossigeno alle imprese. E rivedere il loro rapporto con le banche. La Lega deve ripartire da qui: dall'economia».
Al punto da restare fuori dal Parlamento?
«E' una delle ipotesi. Noi oggi dobbiamo concentrarci sul Nord. Occuparci del territorio. Diventare il partito egemone nella Padania. Fare in Piemonte, Lombardia e Veneto quello che ha fatto a Verona Tosi, che è stato votato non solo dai leghisti ma da tanti cittadini certi che la Lega fa i loro interessi. Se ci riusciremo, possiamo pensare al modello tedesco: la Csu governa la Baviera, e delega alla Cdu la rappresentanza politica a Berlino».
A parte che la Csu con Stoiber è arrivata a esprimere il candidato cancelliere, questo significa che alle elezioni la Lega potrebbe farsi rappresentare da altri? E da chi?
«Lo decideremo al congresso. Se in questi mesi riusciremo a imporre la nostra egemonia sul territorio, possiamo anticipare il "modello tedesco" già alle prossime elezioni, e farci rappresentare dagli alleati».
Quali alleati? Alfano? Berlusconi?
«Con Alfano ho un buon rapporto. Quanto a Berlusconi, vedremo quel che farà. La proposta del presidenzialismo arriva fuori tempo massimo. La Lega può stringere alleanze, rinunciando a qualche voto per contare politicamente di più. Ma non ha paura di andare da sola. Se andiamo da soli, elettoralmente siamo più forti. E' evidente che, se il Pdl appoggia Monti sino a fine legislatura, un accordo sarà difficile. Se lo fa cadere, è tutto più facile».
Pare quasi che il suo vero obiettivo sia Formigoni, e quindi il governo della Lombardia.
«Noi siamo persone serie. Non faremo cadere la giunta. A Formigoni però chiediamo di scegliere. Stavolta non può pensare di candidarsi a Roma per poi decidere di restare al Pirellone. Decida prima. Se vuole andare a Roma, si dimetta, e si voti per la Lombardia insieme con le politiche».
Uno scenario improbabile. Ma ammettiamo che la Lega rinunci a partecipare alle elezioni nazionali. Si rende conto che Grillo al Nord dilagherebbe?
(Maroni prende il suo smart-phone e tira fuori una foto di vent'anni fa: lui e Grillo abbracciati). «Avevo accompagnato da Grillo un cronista della Padania. Ci tenne tutto il pomeriggio a parlare dei suoi temi: l'ambiente, le banche, i consumatori... Grillo scimmiotta la Lega delle origini. Ma noi costruimmo un partito vero: i dirigenti, i militanti, le sezioni. Per questo siamo sopravvissuti a momenti difficili, e sopravviveremo anche a questo. Grillo ha fatto un'altra scelta».
Ma ha vinto a Parma, mentre voi avete perso 7 ballottaggi su 7.
«A parte che a Meda abbiamo perso per un solo voto, sono convinto che a Parma Grillo avrebbe preferito perdere. Ora comincia la fase più difficile: governare. Per lui Parma sarà decisiva. Tra sei mesi sapremo se Grillo ha un futuro o sarà travolto».
Tra un mese lei sarà il nuovo capo della Lega, vero?
«Io non sono il nuovo. Se si facesse avanti un quarantenne, Zaia, Giorgetti, lo stesso Tosi, sarei l'uomo più felice del mondo....».
Lei sarà il capo, vero?
«Se mi voteranno, non mi tirerò indietro. E avvierò la terza fase della storia della Lega: la riconquista del territorio».
Le altre due fasi non sono andate molto bene.
«Prima abbiamo percorso la via rivoluzionaria: la secessione. Poi quella riformista: il lavoro in Parlamento e al governo. I risultati li abbiamo avuti, ma non del tutto soddisfacenti».
Questo significa che ora rinunciate alla secessione?
«Tutt'altro. I tempi non sono mai stati così propizi. I prossimi mesi saranno decisivi per l'Europa. Il modello europeo, così come l'abbiamo conosciuto finora, ha fallito, e non esisterà più. La crisi degli Stati-nazione è irreversibile. Dall'Europa a 27 Stati si passerà all'Europa delle macroregioni. La Padania sarà tra quelle. Per questo ci interessa più quanto succede a Bruxelles di quanto succede a Roma».
Leoni dice al Fatto che "i fondatori sono come i santi, non si toccano, anche perché il simbolo della Lega è loro". Lei tra i fondatori non c'è.
«Ricorda la storia del comizio? Tre mesi dopo, Salvadori morì in un incidente stradale, lasciandoci un mare di debiti. Sa chi li pagò? Mio padre. Non andai dal notaio a depositare il simbolo perché negli Anni 80 lavoravo. Ma quasi ogni sera Bossi veniva da me, e tiravamo mattina a parlare. Ora Bossi e io abbiamo un accordo. Leoni può stare sereno».
L'accordo sarà rispettato?
«Io non ne dubito».
Lombardo in Sicilia ha fallito. Ci sarà mai un Bossi del Sud?
«Magari... Lombardo non era un Bossi, era un democristiano che ha tentato di approfittare della situazione. Se spunterà un Bossi a Napoli, faremo la rivoluzione federalista».

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