mercoledì 26 settembre 2012

Quanto ci costano le Regioni a Statuto speciale?

La fotografia dell'Italia del 2012 è quella di un Paese sotto attacco dai mercati finanziari, sfiduciata da investitori e agenzie di rating, con la possibilità non più remota di un default, qualora si dovessero verificare scenari bui in Grecia e Spagna. Siamo ad un altro anno di recessione, a cu seguirà un 2013 di regressione come certificano tutti gli istituti statistici. La nostra economia è allo stremo, stringe da fin troppi anni la cinghia. Si chiedono a tutti gli italiani sacrifici continui, sotto forma di nuove o più alte tasse o ancora di tagli ai servizi pubblici.
Eppure, questo è uno Stato che continua a permettersi il lusso di avere ben cinque regioni a statuto speciale. Per coloro che avessero poca dimestichezza con la storia recente, le regioni a statuto speciale sono Valle D'Aosta, Trentino-Alto-Adige, Friuli-Venezia-Giulia, Sicilia e Sardegna. Cosa significa che hanno uno statuto speciale? Semplicemente, che essi godono di una maggiore autonomia di quella che fu accordata in Costituzione a tutte le altre regioni. Perché solo queste regioni hanno maggiore autonomia e non altre? Perché rispondono a una domanda storico-politica, che proveniva dai territori. Si tratta, infatti, di Regioni situate ai confini dello stato nazionale, in molti casi caratterizzate dalla presenza di minoranze linguistiche, che la Costituzione ha voluto tutelare. E' il caso dei francofoni della Valle D'Aosta, dell'agguerrita minoranza tedesca in Trentino, della stessa popolazione sarda, culturalmente e linguisticamente peculiare. Quanto al Friuli, la sua autonomia è stata la conseguenza della sua posizione di confine con la ex Jugoslavia, in particolare, dopo la tragedia degli esuli dalmati e della temporanea divisione di Trieste in due zone, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ancora più drammatico è stato il caso della Sicilia, in cui dopo la fine del secondo conflitto mondiale si organizzarono movimenti secessionisti, i quali si scontrarono con l'esercito regolare italiano, lasciando sul terreno migliaia di morti e violenze inaudite da entrambe le parti. Non è casuale, quindi, che la Sicilia goda non già di un semplice statuto, bensì di una vera Costituzione, risalente al maggio 1946, cioè ancor prima dell'entrata in vigore della Costituzione italiana.
A volte, non a torto, la Sicilia viene considerata uno Stato nello Stato. Si pensi, ad esempio, che fino al 1954, esisteva in questa regione una Corte Costituzionale propria, chiamata Alta Corte, che aveva il potere di stabilire quali leggi nazionali fossero legittime in Sicilia e quali no. Fu la Corte Costituzionale nazionale a sopprimere tale istituzione, dichiarandola un doppione del suo stesso potere. A ben vedere, il caso siciliano è quello più peculiare, per tante ragioni. La prima è che non siamo in presenza di una minoranza linguistica. Vero è che il dialetto siciliano gode anche oggi di grande vitalità, ma non esiste qui né una minoranza da tutelare, né tanto meno una vera lingua. Non solo. Più di un costituzionalista ha fatto notare, non senza essere oggetto di strali palermitani, che a differenza delle altre Regioni, la Sicilia non vanterebbe nemmeno una sua ricchezza economica da custodire gelosamente dal pericolo di una redistribuzione su base nazionale e a suo svantaggio. Anzi, a volere essere pignoli, la questione autonomista italiana è alquanto bizzarra, perché in tutte le altre realtà europee, ad esempio, a pretendere una maggiore autonomia sono solitamente le zone ricche del Paese, le quali hanno tutto il vantaggio da una gestione più «solitaria» delle proprie finanze, godendo di una ricchezza superiore alla media nazionale.
E' il caso della Baviera in Germania o della Catalogna in Spagna. Regioni ricche, che chiedono che i proventi fiscali dei propri territori restino per lo più in quelle zone, senza passare per Berlino e Madrid, rispettivamente. In un certo senso, è lo stesso ragionamento che la Lega Nord fa per le Regioni ricche del Nord: meno soldi a Roma, in cambio di meno trasferimenti. Alla lunga, infatti, questo porterebbe il Nord a godere di maggiori finanze da gestire autonomamente. Il paradosso delle Regioni a statuto speciale è che le cose sono andate storicamente nella direzione opposta. Non si trattava di Regioni ricche, che reclamavano maggiore autonomia finanziaria e politica, bensì di aree per lo più povere e in molti casi arricchite proprio dall'abbondanza dei trasferimenti nazionali.
Il caso più eclatante è quello del Trentino-Alto-Adige, destinatario di copiosi trasferimenti alle sue province autonome di Trento e Bolzano, che incassano dallo Stato i 9/10 di quanto fiscalmente lo Stato riceve da quei territori. Nel 2011, la Provincia Autonoma di Trento ha chiuso il suo bilancio in pareggio, grazie a trasferimenti statali per 3,9 miliardi su complessivi 4,6 miliardi. E dire che la minoranza tedesca nella Provincia di Bolzano ancora oggi inveisce contro presunte violazioni dei loro diritti, quando sono stati beneficiari di privilegi, che nessuno Stato al mondo ha mai concesso a una minoranza. Gli italiani sono stati, invece, oggetto di una «reverse discrimination» o «discriminazione all'incontrario», mentre la burocrazia è passata saldamente nelle mani dei tedeschi. Le stesse cifre demografiche ci mostrano come da «minoranza», gli italiani di origine tedesca siano diventati maggioranza. Inltre la Regione vanta oggi un numero di impiegati pubblici del 32% superiore alla media nazionale. E grazie alla manna da Roma, le tasse pesano sui bilanci comunali alto-atesini molto meno che nel resto d'Italia.
Se per un cittadino ligure le tasse comunali ammontano complessivamente a 572 euro pro-capite, in T-A-A la cifra scende drasticamente a una media di 211 euro. Certo, si dirà che tanti soldi non sono solo andati a ingrossare le fila degli sprechi, visto che la Regione è tra le più ricche in Italia e vanta una qualità di vita tra le più invidiabili. Detto ciò, non si capisce più il motivo per cui nel 2012 ancora queste due province debbano godere di privilegi finanziari, che sono ancora più assurdi, se raffrontati alla situazione mesta dell'economia italiana. Spostiamoci in Sicilia. Siamo al capo opposto dell'Italia, ma la musica cambia poco. Dicevamo, qui siamo in uno Stato nello Stato.
La Regione Sicilia ha il potere, tanto per fare un esempio, di fare entrare in vigore solo le leggi in ambito della PA che ritiene. Per effetto della portata costituzionale del suo statuto, poi, una sua qualsiasi modifica deve non solo essere preventivamente approvata a maggioranza dai «deputati» (non consiglieri) dall'Assemblea Regionale Siciliana (non si chiama Consiglio Regionale, qui!), bensì pure in doppia lettura alla Camera e al Senato, come qualsiasi altra consueta riforma della Costituzione.
Ciò porta alla conclusione che la Sicilia è da decenni un moloch immutabile. Anche quando in questi mesi si parla insistentemente di tagli delle province, tali leggi non si applicano in questa regione, visto che solo Palermo ne avrebbe la competenza. Infatti, in Sicilia, le province province portano la dicitura istituzionale di «regionali», perché dipendono dalla regione. Cosa significa questo? Che il taglio preannunciato delle piccole province con meno di 350 mila abitanti, previsto dal governo Monti, non avrà effetto solo in Sicilia. Resta al buon cuore del suo nuovo governatore legiferare in tal senso, ma capirete benissimo quanta voglia avrà chiunque dovesse succedere a Raffaele Lombardo.
La scorsa settimana è esploso il caso «Lombardo», quando il premier Monti ha irritualmente sollecitato le sue dimissioni (già annunciate da tempo), paventando il rischio di default. E' bene chiarire sin da subito che la Sicilia non è a rischio bancarotta, ma ha problemi di liquidità, grazie agli ingenti trasferimenti nazionali. Il suo bilancio è di 27 miliardi, mentre il suo debito ammonta a 5,5 miliardi, cioè appena il 5% della somma dei debiti delle regioni italiane, avendo già sfiorato il pareggio di bilancio nel 2011. Tuttavia, ciò non può nascondere gli enormi sperperi che sussistono in questa regione, proprio in conseguenza della sua orgogliosa autonomia. Le guardie forestali sono 28 mila, superiori a quelle di tutto il Canada, mentre gli impiegati pubblici regionali sono oltre 21 mila, ossia il triplo di quelli della Lombardia, che ha quasi il doppio della sua popolazione. Per non parlare della spesa regionale per il personale, pari all'incredibile cifra di 1,758 miliardi all'anno, contro gli appena 202 milioni della Lombardia.
La scorsa settimana è stato uno stesso assessore regionale ad avere ammesso di essere rimasto sbalordito nel notare che per stenografare un discorso di Lombardo di 60 minuti si sono succeduti ben 18 dipendenti. Uno ogni tre minuti. Sapete quanto guadagna uno stenografo in Sicilia? Tra 2.500 e 6.000 euro al mese! Per tre minuti di lavoro! Attenzione, però. Chi crede che tanta manna dal cielo sia a vantaggio dei siciliani si sbaglia di molto. La copiosa spesa pubblica inefficiente siciliana avvantaggia solo e sempre una ristretta cerchia di burocrati e politici, che controllano "militarmente" il territorio, quasi come in un sistema moderno di feudalesimo.
Gli indicatori socio-economici indicano che la Sicilia è sempre tra le Regioni peggio messe in Italia, con un'occupazione complessiva che non arriva nemmeno al 50%. Drammatica quella femminile, a poco più di un terzo. Lo stesso dicasi per il reddito pro-capite, pari ad appena 17 mila euro, contro i 26.700 euro di media nazionale. Insomma, a cosa è servito lo statuto speciale in Sicilia? A mantenere al potere una casta politica democristiana, che si succede ininterrottamente da 65 anni a Palazzo d'Orleans e in quasi tutte le realtà locali dell'isola. Tutto questo è stato possibile solo grazie allo statuto speciale, che consente a un flusso immenso di denaro di coprire le irresponsabilità dei politici siciliani, senza mai creare efficienza e sviluppo. Sembrerà offensivo verso coloro che nei vari contesti si sono battuti per ottenere un minimo di autonomia, ma il resoconto del 2012 ci suggerisce che dietro a tali rivendicazioni, oggi si nascondono velleità carrieristiche e salvaguardia di incrostazioni di poteri incontrollati. 

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