giovedì 11 ottobre 2012

Lo Stato aiuta la Sicilia ma abbandona i terremotati dell’Emilia

di Riccardo Ghezzi

Una regione produce buona parte del Prodotto Interno Lordo (PIL) italiano grazie all’imprenditoria privata, un’altra sforna una quantità inverosimile di posti di lavoro nell’amministrazione pubblica in base alla dispendiosa logica dei voti di scambio. E ancora: la prima garantisce un congruo gettito alle casse statali in virtù di una riconosciuta fedeltà fiscale, la seconda contribuisce a far lievitare la spesa pubblica a causa dei troppi esborsi del governo centrale per evitarne il default.
La delicata questione nord-sud richiede una certa sensibilità, al fine di evitare laceranti divisioni e un surreale clima da barricate nel trattare l’argomento. Talvolta, però, si ripropone con violenza a causa di assurde sperequazioni nel gestire situazioni di difficoltà più o meno contingenti.
Le due regioni in questione sono Emilia Romagna e Sicilia. La prima è stata dilaniata da un terremoto, una catastrofe naturale indipendente dalla volontà di chi amministra la regione e di chi crea occupazione; la seconda è squassata da anni di cattiva amministrazione, spesa pubblica folle, sprechi e connivenze tra politica locale e criminalità organizzata che l’hanno ridotta sull’orlo del fallimento.
Inutile dire quale delle due regioni meriti maggiormente di essere aiutata, e nel farlo rispediamo al mittente eventuali beote accuse di “nordismo” o peggio “razzismo”.
L’Emilia Romagna è tra le quaranta euro-regioni con il più alto PIL pro capite, ed in tutta Italia ne sono rimaste solo tre: le altre due sono Lombardia e provincia autonoma di Bolzano. Inoltre, è la seconda regione d’Italia nella classifica della fedeltà fiscale, preceduta dalla sola Lombardia, eppure si trova al terzultimo posto in quella della quantità di trasferimenti dallo Stato centrale agli enti locali. Insomma, dare tanto per ricevere in cambio le briciole.
Uno squilibrio evidente, ancor più in un momento di difficoltà come l’attuale: i devastanti terremoti che hanno colpito in primis la zona del modenese hanno messo in ginocchio l’economia regionale. Circa 4.000 aziende sono state costrette a chiudere dopo il sisma del 29 maggio, 80.000 lavoratori sono finiti in cassa integrazione, 40.000 in mobilità e circa 12.000 persone tra tutti i settori hanno perso il lavoro. Per non parlare del crollo del Pil: -2,5% il trend previsto a settembre da Unioncamere-Prometeia, a fronte del -2,4% nazionale. Per la prima volta, il Pil dell’Emilia Romagna avrà una performance inferiore a quella, pur deficitaria, nazionale. La produzione industriale della regione è calata del 3,6% nel secondo trimestre di questo 2012 rispetto allo stesso periodo del 2011, il fatturato è sceso del 3,7% e gli ordini del 4,2%.
Un dramma evidente, che il governo Monti ha pensato di arginare con un palliativo: la sospensione degli obblighi tributari. Peccato che tutti i cittadini e le imprese riceveranno un bel regalo di Natale: dovranno pagare tutte le imposte sospese fino al 30 novembre in un’unica soluzione entro il 16 dicembre, ossia propria alla vigilia delle vacanze natalizie. Le imprese che hanno subito danni indiretti, ossia semplicemente calo del fatturato e della clientela ma nessun danno dagli eventi sismici, non godranno di alcun aiuto; le imprese danneggiate direttamente dovranno invece recarsi in qualche istituto bancario per chiedere prestiti e finanziamenti.
Questo è il destino dell’Emilia Romagna che lavora, produce, paga le tasse.
Altra storia invece in Sicilia, regione che ricattando il governo con la scusa delle prossime immediate e delicate elezioni locali è riuscita ad ottenere dal ministro dell’Economia Vittorio Grilli una deroga al patto di stabilità: in soldoni, il permesso di poter effettuare spese per ulteriori 600 milioni di euro e impegni per 300 milioni di euro entro il 31 dicembre. Questo dopo che la regione siciliana ha dilapidato circa 30 miliardi di euro nel solo 2012, compresi appalti irregolari, stipendiopoli, sprechi e costi esorbitanti dell’Assemblea regionale, tanto da essere bacchettata persino da un’Ue che ha deciso di bloccare 600 milioni di finanziamenti previsti per luglio per “vizi e irregolarità” riscontrati, chiedendone indietro altri 150. Vale la pena ricordare che dall’Europa sono arrivati in Sicilia 6 miliardi e mezzo di euro nei soli sei anni compresi tra il 2007 e il 2012, soldi che la regione è riuscita a spendere solo in minima parte per gli investimenti previsti.
E ancora: all’articolo 37 del decreto sviluppo del governo Monti sono state riesumate le cosiddette “zone franche urbane”, vere e proprie “no tax area” del Sud Italia, in cui le piccole imprese potranno usufruire di esenzioni dal pagamento delle imposte. Saranno dodici le aree interessate: Mondragone, Napoli e Torre Annunziata in Campania; Rossano, Crotone e Lamezia in Calabria; Erice, Catania e Gela in Sicilia; Lecce, Taranto e Andria in Puglia.
E l’Emilia Romagna terremotata? Nemmeno per sogno, a Natale riprenderà a pagare le tasse. E verserà in un’unica soluzione le imposte che erano state sospese.

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