giovedì 22 marzo 2012

I tanti pesci in barile del caso Emiliano

Bisogna capire che Michele Emiliano era il Sol dell'Avvenire.L'altra gamba della lista civica nazionale che il collega de Magistris già pronosticava al 20%, una sorta di Ppm, Partito dei Procuratori Meridionali fattisi sindaci. L'uomo che Marco Travaglio aveva suggerito come potenziale candidato per Palazzo Chigi, e che Vendola aveva già scelto come suo successore alla Regione. Società civile allo stato più puro, un eroe delle mani pulite prestato alla politica, uno che si definisce così nel suo profilo su Twitter: «Magistrato antimafia in aspetta- tiva e casualmente sindaco di Bari da sette anni». Emiliano poteva guidare la rivolta contro la vecchia politica corrotta, e vincere.

Solo così si spiega ora il silenzio, l'imbarazzo, il fischiettare distratto di quel milieu politico-mediaticoche avrebbe crocefisso qualsiasi altro uomo pubblico nelle condizioni di Emiliano. In fin dei conti, una vasca da bagno ricolma di pesce fresco non deve costare molto meno di una vacanza all'Argentario dell'ex sottosegretario Malinconico. Stavolta, invece, neanche un'imitazione della Guzzanti, nemmeno un docu-drama con le intercettazioni da Santoro, nemmeno una citazione tra i fatti quotidiani di cui bisognerebbe vergognarsi. E però, meglio dirlo subito, è un bene che da quel mondo non si levi il solito grido «dimissioni, dimissioni». È un bene perché un sindaco eletto direttamente dal popolo non può lasciare il suo incarico per un rapporto della Guardia di Finanza, senza nemmeno essere indagato, per un'indagine su fatti di cui i pm sapevano dal 2006 e che, se la Procura avesse agito a tempo debito, certamente avrebbero indotto il sindaco a scansare i fratelli Degennaro et dona ferentes .

Non c'era infatti bisogno di questa inchiesta per sapere che cosa non va in Emiliano e nell'emilianismo. Basterebbe pensare che la figlia del capofamiglia Degennaro era stata fatta da lui assessore, e neanche la dinastia Matarrese, quando pure comandava a Bari, si era mai sognata di mettere un familiare in giunta. Basterebbe dire che in un'intervista Emiliano aveva definito quel gruppo «un'impresa vicina all'amministrazione», senza falsi pudori. Ma soprattutto, per negare a Emiliano la patente di sacerdote del «controllo di legalità» che sempre più spesso, e senza alcun appiglio nel codice, viene regalata ai pm d'assalto, basterebbe dire che lui la legalità la viola dal 2009. Da quando una sentenza della Corte Costituzionale ha chiarito senza ombra di dubbio che un magistrato non può essere un dirigente di partito nemmeno se è fuori ruolo. Ed Emiliano, che non si è mai dimesso dalla magistratura, è stato segretario del Pd pugliese, ha partecipato alle primarie, le ha perse, ed è stato ricompensato con l'attuale carica di presidente regionale del partito. 

Ma davvero c'era bisogno dei molluschi di Degennaro per capire quanto pericoloso sia questo leaderismo alle cozze? Appena pochi giorni fa il nuovo Petruzzelli è stato commissariato per un buco di sette milioni di euro, ed Emiliano è il presidente della fondazione. È volata una mosca? No, perché la voga di questi anni stabilisce che il pm che va in politica assolve, purifica e beatifica tutti quelli che gli si accompagnano; e invece gli interessi, gli affari, i soldi, gli appalti continuano ovviamente ad esistere, ed è tutto da dimostrare che il leader solitario sappia dominarli meglio. Così si fonda un «potere senza critica», che sfugge al principio liberale della trasparenza, cioè non se ne risponde all'opinione pubblica. Così può accadere che il pm che a Bari faceva le inchieste sulla sanità pugliese, Lorenzo Nicastro, venga nominato da Vendola assessore regionale nel bel mezzo dell'indagine, dopo essersi candidato con l'Idv. Così succede che la Regione finanzi lautamente un convegno del Procuratore che sta indagando il Governatore. Che cosa è più la politica democratica in una città in cui, da quando c'è l'elezione diretta del sindaco, la carica è sempre andata o a un immobiliarista o a un procuratore? Una città in cui Emiliano si presentò candidato dicendo: «Il programma sono io»; proprio come Berlusconi nelle elezioni del 2001, solo che a Berlusconi lo rinfacciò persino il New York Times , e a Emiliano arrivarono gli applausi del nuovismo che finalmente si disfaceva dei partiti.  

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